Piero Marussig. Camera con vista su Trieste


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Al Civico Museo Sartorio di Trieste, fino al 9 ottobre è allestita la mostra dedicata a Piero Marussig “Camera con vista su Trieste”, promossa dal Comune di Trieste, Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo e curata dalle storiche dell’arte Alessandra Tiddia, curatore e conservatore al Mart-Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e Lorenza Resciniti, conservatore del Civico Museo Sartorio di Trieste.
La mostra rende omaggio a Piero Marussig, uno dei maggiori esponenti dell’arte del ‘900 a Trieste e in Italia, con alcuni indiscussi capolavori provenienti dal Civico Museo Revoltella e da collezioni private, come hanno evidenziato Elena Pontiggia e Nicoletta Colombo, autrici insieme ad Alessandra Tiddia del catalogo dedicato a Piero Marussig e Claudia Gian Ferrari “Un omaggio triestino” (edito da Trart a fine 2020).

Piero Marussig, Veduta di Trieste, 1914, Museo Revoltella


Il progetto di allestimento, a cura della storica dell’arte Federica Luser per Trart, presenta i momenti salienti dell’opera di Marussig. Quello triestino raccolto nella villa di Chiadino e quello milanese in cui l’artista è protagonista della stagione di Novecento Italiano.
Le opere degli anni trascorsi a Trieste (dal 1906 al 1919) riflettono la sua percezione di un «macrocosmo racchiuso nel microcosmo della sua casa, dove interno ed esterno, natura e città, vita privata e vita sociale coincidevano. Chiadino era la sua Tahiti» – scrive Elena Pontiggia. «Per un pittore intimista, anzi intimo come lui, la natura non superava i perimetri, pur ampi, del suo giardino e per dipingere la vita gli bastavano le figure e le cose che vedeva nelle sue stanze, sulla spianata di ghiaia bianca davanti alla villa, nel parco di alberi e piante che la circondavano».Siesta (1912), Serata a Trieste (1914), Concertino nel parco (1916) sono solo alcune delle opere presenti in mostra riferite a questa tematica. Dipinti impregnati di un senso di agiatezza intima, quella “Gemütlichkeit” difficilmente traducibile con un sinonimo italiano, ma che corrisponde a un senso di armonia tra sé stessi e l’ambiente circostante, come ha ben osservato Alessandra Tiddia nel corso dei suoi studi dedicati all’artista. I dipinti di Piero Marussig sono finestre aperte sulla città e chiuse a contenere un mondo intimo fatto di affetti e “piccole e belle cose”.
Il progetto di allestimento si sofferma poi sul periodo milanese, iniziato nel 1919 con la prima mostra personale alla Galleria Vinciana a Milano, che apre all’artista le porte della critica e quelle del salotto di Margherita Sarfatti, introducendolo di fatto nel milieu artistico italiano. Nel 1920 Marussig si trasferisce nella città lombarda e da quel momento in poi espone a fianco di quei pittori che credono nella traduzione delle modalità classiche italiane in un linguaggio moderno: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Ubaldo Oppi, Mario Sironi.
Accostando la propria ricerca a quella dei colleghi, Piero Marussig abbandona il colore espressivo e dà maggiore solidità alle sue figure, trasformando quella intima quotidianità tipica delle opere “triestine”, in una dimensione sospesa e idealizzata. Fino al 1932 Piero Marussig parteciperà a tutte le attività del gruppo esponendo a importanti esposizioni in Italia e all’estero.

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