Sono le opere di 26 artisti internazionali che compongono la mostra al Maxxi a L’Aquila, fino al 19 febbraio 2023 e trattano i temi della memoria e della metamorfosi, attraverso una riflessione per immagini, con riferimento all’illusione ottica (afterimage, appunto), un fenomeno per cui uno stimolo visivo, come il flash di una macchina fotografica, ad esempio, produce un’impressione sulla retina che persiste anche dopo il proprio passaggio. Gli artisti, appartenenti a differenti generazioni, presentano opere tra pittura, scultura, fotografia, installazioni, video e sperimentazione digitale e la mostra è curata dal direttore del MAXXI L’Aquila, Bartolomeo Pietromarchi, e il co-curatore, Alessandro Rabottini.
I 26 artisti in mostra sono: Francis Alÿs (1959, Belgio/Messico), Francesco Arena (1978 Italia), Stefano Arienti (1961, Italia), Benni Bosetto (1987, Italia), Mario Cresci (1942, Italia), June Crespo (1982, Spagna), Thomas Demand (1964, Germania/Stati Uniti), Paolo Gioli (1942-2022, Italia), Massimo Grimaldi (1974, Italia), Brownyn Katz (1993, Sud Africa), Esther Kläs (1981, Germania/Spagna), Oliver Laric (1981, Austria/Germania), Tala Madani (1981, Iran/Stati Uniti), Anna Maria Maiolino (1942, Italia/Brasile), Marisa Merz (1926-2019, Italia), Luca Maria Patella (1934, Italia), Hana Miletic (1982, Croazia/Belgio), Luca Monterastelli (1983, Italia), Frida Orupabo (1986, Novergia), Pietro Roccasalva (1970, Italia), Mario Schifano (1934-1998, Italia), Elisa Sighicelli (1968, Italia), Dahn Vo (1975, Vietnam/Germania), Paolma Varga Weisz (1966, Germania), Dominique White (1993, regno Unito/Francia), He Xiangyu (1986, Cina/Germania).
Il percorso della mostra a Palazzo Ardinghelli inizia dalla facciata e dall’ingresso dove, sulla soglia del museo, è collocata l’opera site specific di Francesco Arena, Masso con gli ultimi 5 giorni. Segue l’opera fotografica stampata su raso Senza titolo (5016) di Elisa Sighicelli.
Sul ballatoio ad anello che affaccia sulla corte c’è Saturniidae, opera site specific di Benni Bosetto che trae ispirazione dall’entomologia e dall’astronomia.
Una selezione di scatti della serie Interni mossi, realizzata fra il 1967 e il 1979 da Mario Cresci, i dipinti tragicomici Corner Projection (Dog), Screen Ghost e Ghost sitter dell’artista iraniana Tala Madani e il grande dittico su tela Inventario di Mario Schifano animano le pareti della prima sala del piano nobile, al centro della quale campeggia Sleeping Figure, una nuova commissione di Oliver Laric.
Nella sala successiva, l’opera site specific Untitled di Danh Vo interviene nell’ambiente con una struttura in legno concepita in relazione a un monumentale camino di Palazzo Ardinghelli, e all’interno della quale troviamo fotografie di fiori selvatici del giardino dell’artista. Nella stessa sala, l’opera dell’artista Bronwyn Katz Groei Grond, realizzata con lana e reti di materassi trovati a Johannesburg, riflette sul destino della città sudafricana attraverso materiali che trattengono le memorie delle persone che li hanno utilizzati. Completano l’allestimento della sala opere della serie Cameron Obscura del 1981 di Paolo Gioli, che guarda all’archeologia della tecnica fotografica per attivare una riflessione sui concetti di traccia e memoria.
L’installazione ambientale site specific di Thomas Demand, nella Sala della Voliera, è composta da un intervento a parete e da una serie di opere fotografiche realizzate nell’archivio dello stilista franco-tunisino Azzedine Alaïa (1935-2017). La relazione tra corpo e architettura è presente anche nelle opere Untitled (Voy, sì) di June Crespo, che esplora le possibilità formali ed espressive di materiali tanto duraturi quanto effimeri, mentre nella stessa sala l’installazione di nuova commissione Fiume buio di Luca Monterastelli crea uno spazio in cui la pietra locale e forme che ricordano reperti archeologici paiono misteriosamente riposare.
A seguire, una successione di sale monografiche, a partire da quella dedicata a Pietro Roccasalva con le opere Il Traviatore, From Just Married Machine e The Skeleton Key. Immediatamente accanto, la scultura di Paloma Varga Weisz Man, Hanging è sospesa tra il ritratto di un uomo reale e la versione a grandezza naturale di un manichino d’artista. Il percorso prosegue con la riflessione sulla figura femminile dell’artista norvegese Frida Orupabo che, attraverso le opere Untitled, Labour Ii, Mother and Child I e Angst riattiva materiali fotografici di archivio per decostruire stereotipi razziali e di genere. Da qui si accede sala dedicata alle opere di Francis Alÿs, con la proiezione di diapositive Sleepers II che ritrae uomini e cani randagi ritratti mentre dormono per le strade di Città del Messico. In mostra anche le due poetiche tavolette dell’opera Untitled (Redemption) e i suoi i relativi studi preparatori.
Il tema della relazione tra il corpo, la sua traccia e la sensibilità dei materiali è al centro delle opere Crescendo, BA/// e Bronzato e di Esther Kläs, poste in dialogo con l’enigmatica scultura in ceramica raku dell’artista italo brasiliana Anna Maria Maiolino.
La sala successiva è dedicata a Stefano Arienti ed è ispirata ai concetti di traccia e di impressione. L’elaborazione digitale è al centro anche delle opere di Massimo Grimaldi che, con la serie Scarecrows, presenta immagini processate attraverso filtri ed effetti.
Segue l’opera site specific di Dominique White Land, Nation-State, Empire, che esplora in modo viscerale il simbolo della bandiera e i suoi significati culturali, storici e politici. Il racconto di Afterimage prosegue con la misteriosa scultura di He Xiangy, Asian Boy, in cui il linguaggio della scultura figurativa e iperrealista traduce gli incerti stati d’animo tipici della giovane età, posti qui in dialogo con le altrettanto enigmatiche immagini della serie Fotofinish di Paolo Gioli, in cui calchi di visi transitano in forme naturali.
Gli spazi curvi del ballatoio ospitano la serie Materials dell’artista croata Hana Miletić, in cui immagini scattate nelle città di Zagabria e Sisak dopo gli eventi sismici del 2020 sono trasformate in delicate opere tessili. In ultimo c’è l’opera Senza Titolo di Marisa Merz, un dittico che richiama la forma delle pale d’altare e che suggerisce un’osmosi tra pittura e scultura. La mostra si conclude quindi con la sala dedicata alla proiezione dell’opera filmica Terra Animata di Luca Maria Patella.