2009 Luna Park dell’anima. Coney Island Brooklyn


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La mostra “2009 Luna Park dell’anima. Coney Island Brooklyn”, realizzata a cura di Giovanna Fiorenza e Roberto Mutti con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pavia, è esposta al Palazzo del Broletto di Pavia fino al 2 ottobre prossimo ed è composta da 52 fotografie di vari formati e stampate su diversi supporti che raccontano uno dei luoghi più iconici di New York, lo storico Luna Park di Coney Island, a sud di Brooklyn, a poco meno di un’ora da Manhattan.

La lunga spiaggia sabbiosa che guarda l’Oceano Atlantico, il lungomare di legno, le giostre abbandonate e i chioschi dove mangiare l’hot dog sono il palcoscenico dove si sviluppa il racconto per immagini di Coppolecchia, scattate tutte a Coney Island nel 2009, ovvero nel momento di estrema decadenza del primo parco divertimenti a chiamarsi Luna Park, inaugurato nel 1903 e chiamato “Luna” in onore della sorella del proprietario, Luna Dundy.

Tuttavia questa esposizione, prima di essere un reportage, è un viaggio nell’ anima americana, un’immersione in quel mondo che ha contribuito a definire la cultura di massa, destrutturandone il linguaggio, generando la Pop Art.

La libertà dello stile narrativo delle fotografie di Coppolecchia racconta la vena malinconica che si ritrova nelle giostre ferme, nelle saracinesche abbassate, nelle insegne scolorite, nei ricordi abbandonati, nella dimensione onirica delle giostre che hanno smarrito il loro sogno, quando trionfavano i labirinti di specchi, la grande Wonder Wheel costruita nel 1920 e alta quasi cinquanta metri, le voci degli altoparlanti e dei bambini, i neon dai mille colori, le maschere dei pagliacci, i juke-box. Tutto, nelle foto qui esposte evoca le sensazioni sospese di un Luna Park dismesso, di un microcosmo che, normalmente, in qualunque parte del mondo, è in grado di stregare con il suo fascino fuori dal tempo.

Eppure, attraverso immagini lucide, rigorose e prive di retorica, sotto la lente di ingrandimento di Coppolecchia la nostalgia si fa più limpida e l’autore crea una vera e propria “Estetica dell’abbandono”.

La mostra presenta un immaginario sfaccettato legato ai ricordi di una “terra di confine” tra quotidianità e fiaba, mentre il titolo ne mette in evidenza la capacità dell’autore di entrare in empatia con ciò che intende imprimere sulla pellicola.

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