Al Museo delle Arti, Castello di Nocciano (PE), fino al 31 luglio si può visitare la mostra “Figurarsi il Tempo”, un raffinato confronto orchestrato nel segno della poeticità della visione tra gli scatti di Giorgio Cutini, grande maestro della fotografia contemporanea e i dipinti di Marco Stefanucci. Sono oltre venti i lavori scelti dal curatore della rassegna, Anthony Molino, per documentare gli esiti più recenti della ricerca di Stefanucci che sorprenderanno chi ancora non conosce la sua emozionante pittura di ombre e sogni che emergono dall’inconscio e varrebbe da sola la visita alla mostra la visione di un capolavoro della fotografia di fine ‘900 come “Omaggio a Burri”, opera di assoluta bellezza eseguita da Cutini nel 1991 esposta sino al 31 luglio tra circa trenta fotografie del più lirico tra i firmatari del “Manifesto della fotografia. Passaggio di frontiera”, una pagina importante della storia della fotografia contemporanea europea.
Di grande afflato poetico è questa mostra che Molino ha scelto di ambientare nel Castello di Nocciano, con due artisti diversi per età e per il linguaggio con cui si esprimono nella pratica artistica, eppure resi profondamente contigui dal comune interesse a orientare la propria ricerca all’interno del flusso del tempo, la più sfuggente e indecifrabile delle dimensioni che condizionano l’esistenza dell’uomo. Al di là dell’ingannevole concretezza dello spazio, al di là dell’apparenza delle cose, Cutini e Stefanucci producono tracce di un mondo altrove, quello che custodisce la verità del nostro vivere, fatto di pensieri, emozioni e sogni e della materia della poesia, l’impalpabile e oracolare materia della rivelazione.
Di Giorgio Cutini spicca la presenza di uno scatto capolavoro come Omaggio a Burri (1991), e di altre opere, trentacinque in tutto, incantevoli nella loro capacità di indurre nello spettatore “stati d’animo tra stupefazione e incanto, tra struggimento e brivido evocativo” (Enzo Carli). Parliamo di, solo per citarne qualcuna: È aperta la stanza al cielo turchino (1994), La città di Jo Kut (2010), Il Suono del vento (2018), Il Viandante (2018), Gli Ipocriti (2021) e, a documentare la produzione più recente, il trittico Nessun rumoue..sssh! (2022)
Il gusto e il singolare talento di Marco Stefanucci dimostrato nel corso della sua carriera per l’invenzione di tecniche da alchimista è uno degli elementi di affinità che giustificano il gioco di specchi creato nel castello di Nocciano tra i suoi dipinti e gli scatti di Giorgio Cutini, anche lui sperimentatore audace portato all’uso estremo e anticonvenzionale degli strumenti a sua disposizione. Manipolando la materia, costruendo per decostruire, Stefanucci evoca il mondo ctonio e fantasmico che alberga in ognuno di noi.
In questa mostra, Giorgio Cutini e Marco Stefanucci sondano il nostro mondo interiore, con linguaggi diversi ne stanano le ombre, poetiche tracce di un altrove che affiora grazie al rabdomantico potere dell’arte.