Al MACRO Museum di Roma, fino al 9 ottobre è ospitata la mostra “Richard Serra: Animal habitats live and stuffed…”, promossa da Roma Culture e realizzata a cura di Sara Catenacci, è dedicata alla ricostruzione, tramite documenti fotografici e d’archivio, di una mostra leggendaria ma ancora ai più sconosciuta: la prima personale dell’artista Richard Serra, inaugurata a Roma, presso la Galleria La Salita, il 24 maggio 1966.
Grazie al ritrovamento di materiali d’archivio e fotografici – tra cui alcune stampe da un servizio realizzato appositamente dall’agenzia romana DUfoto e un cinegiornale d’epoca – questa mostra restituisce la personale del giovane artista statunitense in tutta la sua immediatezza e libertà espressiva, qualità che avevano subito colpito la scena artistica italiana di quegli anni. Visitata e chiacchierata dai protagonisti emergenti della neoavanguardia italiana, Animal habitats… fu oggetto di numerose polemiche, oltre che di una denuncia per la vendita di animali al posto di oggetti d’arte.
Frammenti di questa libertà e audacia sono messi a disposizione del visitatore in questo focus monografico, in questo studio di una mostra, quasi fosse lo storyboard di un film, dove sequenze d’immagini e testimonianze scritte scorrono in parallelo per far apparire la visione di un momento seminale della storia dell’arte e delle esposizioni. Dopo aver studiato pittura presso la Yale School of Art, Richard Serra (San Francisco, 1938) parte per l’Europa con una borsa di studio che lo conduce prima a Parigi e poi, nel 1965, a Firenze, dove si trasferisce con l’allora moglie, l’artista Nancy Graves. Da qui compie brevi viaggi di studio in Nordafrica e nel sud dell’Europa: a Madrid vede Las Meninas (1656 c.) di Diego Velázquez, che costituisce per lui un momento di rottura con lo spazio pittorico; a Firenze visita il Museo de La Specola e s’interessa alla storia dei serragli e dei giardini zoologici della città, l’ultimo dei quali distrutto nel novembre del 1966 dall’alluvione che colpisce la città.
Durante la sua permanenza in Italia, l’artista inizia una serie di ricerche che mettono in discussione tanto un approccio illusionistico alla rappresentazione pittorica, quanto l’utilizzo della “griglia” modernista: “È stato allora che ho deciso di fare delle gabbie – racconta al critico Hal Foster – di riempirle di materiali, di usare animali vivi, di fare qualsiasi cosa per sfuggire alla mia formazione…”. Invitato dal gallerista Gian Tomaso Liverani a esporre nel suo spazio romano, Serra vi porta nel maggio del 1966 le sue sperimentazioni più recenti: diciannove pezzi tra gabbie – con animali vivi o impagliati – e assemblaggi di ogni sorta, per sottoporre a verifica le nozioni di illusione e realtà. “Era Surrealismo-assemblage-da cortile”, ricorda a posteriori. “Stavano succedendo un sacco di cose: Rauschenberg, Lucas Samaras, Ed Kienholz, e molti altri che lavoravano con l’assemblage”.