La mostra dedicata a Vittore Grubicy De Dragon, al Museo della Città di Livorno fino al 10 luglio, offre l’opportunità di osservare come e quanto questa nuova figura di intellettuale sia stata al tempo un singolare artista oltre che gallerista e scopritore di talenti, e come abbia inciso sulla scena artistica internazionale tra il divisionismo e il simbolismo.
Questa mostra è stata ideata da Sergio Rebora e Aurora Scotti Tosini, promossa da Fondazione Livorno e realizzata da Fondazione Livorno, Arte e Cultura insieme al Comune di Livorno, segue più fili paralleli di racconto: l’uomo, innanzitutto, le sue passioni, le sue scelte di vita, gli ambienti italiani e internazionali che ebbe a frequentare e l’arte del suo tempo, che seppe precorrere, guidare, promuovere e poi lui stesso interpretare.
E con l’arte, il nuovo che era in arrivo, di cui coglie le opportunità, innanzitutto quelle offerte dai progressi delle tecniche di riproduzione, perfette per creare un nuovo mercato o allagarlo. Il tutto in anni in cui si transita dalla scapigliatura, al divisionismo giungendo sino agli esordi del futurismo.
È lo stesso Vittore, ritratto in diversi momenti della sua vita, a introdurre il visitatore nelle nove ampie sezioni dell’esposizione che, grazie anche alla possibilità di attingere ai materiali inediti conservati dagli eredi di Ettore Benvenuti (dipinti, disegni, incisioni, documenti, fotografie, oggetti d’arredo, suppellettili…) consentono di proporre una dimensione privata dell’uomo, sino a oggi poco, o mai, esplorata.
I Grubicy appartengono a un nobile casato magiaro trapiantato a Milano. Mamma Antonietta è pittrice per diletto, ma in casa ci sono i dipinti degli artisti più promettenti del momento, che è quello tra gli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento.
Il fratello Alberto gestisce in proprio la Galleria Gubricy, che ebbe un ruolo importante sino ai primissimi anni’20 del Novecento. Vittore imbocca invece la strada di critico e promotore, curando le prime retrospettive di Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni, sostenendo ed ospitando nella propria dimora Giovanni Segantini ai suoi esordi, ma occupandosi anche del giovane Angelo Morbelli, di Achille Tominetti e di Serafino Macchiati. Intuendo le potenzialità internazionali dell’arte italiana, propone all’Expo di Londra del 1888 la memorabile “Italian Exhibition”. Nei Paesi Bassi, dove vive a lungo, frequenta e stringe rapporti con i maggiori esponenti della Scuola dell’Aja e comincia egli stesso a disegnare e dipingere. Viene poi l’innamoramento per il Giappone e l’Estremo Oriente. Nel contempo sostiene le prime istanze simboliste milanesi: Previati, innanzitutto, ma anche Conconi e Troubetzkoy.
Grubicy è molto attento anche alle arti industriali riconoscendo le qualità di eccellenza delle opere di Bugatti o di Quarti, ma apprezzando anche altre produzioni artigianali, e collezionando ceramiche rinascimentali.
L’amore per ogni forma di espressione artistica si tradusse nella pratica diretta del disegno e della pittura, trovando una specifica collocazione nell’alveo del divisionismo e del simbolismo internazionale.
Una intera sezione è riservata al rapporto tra Vittore e Toscanini, col tramite di Leonardo Bistolfi. Grubicy eseguì un ritratto postume del giovane figlio del maestro per il quale Bistolfi aveva progettato il monumento funebre al cimitero monumentale di Milano. In mostra troviamo anche un gruppo di dipinti appartenuti a Toscanini, recentemente acquisiti da Fondazione Livorno. Proprio Livorno è al centro dell’ultima sezione della grande mostra perché, come è testimoniato dalle opere in essa esposte, Vittore ebbe un ruolo fondamentale nel rinnovare la pittura livornese, dopo la lunga vicenda macchiaiola e post macchiaiola.
Accompagna la mostra un catalogo, edito da Pacini Editore: una vera e propria monografia con saggi e documenti inediti.