Mattioli/Caravaggio. The lightful fruit


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Fino al 3 luglio prossimo, la Pinacoteca Ambrosiana di Milano ospita un inedito confronto tra le opere di Carlo Mattioli (1911-1994), uno dei maestri italiani dell’arte del Novecento e “La canestra di frutta” di Caravaggio, conservata al museo milanese.

La mostra, ideata ed organizzata dalla Fondazione Carlo Mattioli di Parma, col contributo di SCIC Italia, UniCredit Wealth Management, Arti grafiche Castello, presenta venti dipinti a olio che favoriscono la conoscenza dell’opera e del processo creativo del pittore emiliano attraverso il profondo dialogo con il capolavoro caravaggesco e faranno sentire l’eco contemporanea dell’originale, a quattrocento anni dalla sua creazione.

Il coraggio di confrontarsi con un maestro assoluto come Caravaggio e con una delle sue opere più iconiche, sta all’origine di un ciclo di dipinti e disegni che Mattioli volle presentare alla Biennale di Venezia del 1968, ma che rimase visibile solo il giorno dell’inaugurazione, a causa della contestazione sociale e politica che si sviluppò in quell’anno e che coinvolse anche settori come la cultura e l’arte. I Cestini del Caravaggio di Carlo Mattioli tornarono così al silenzio dello studio in cui erano nati.

Carlo Mattioli, Dal cestino di Caravaggio, 1967, olio su tela cm 45×40

Il percorso espositivo, suddiviso in tre ambiti tematici spaziali e allestitivi, si propone come una narrazione che si sviluppa attraverso le suggestioni contemporanee di Mattioli.

Il tema analitico e il processo creativo sono allestiti nelle prime due sale all’interno di sette vetrine che propongono una visione dei materiali utilizzati dal pittore. Il tema realizzativo è concentrato nella terza sala in dialogo diretto con la Canestra di Caravaggio ed è ottenuto da un suggestivo allestimento basato sulla spogliazione sospesa nella penombra della stanza. Il tema concettuale, nella quarta stanza, propone la visione delle ultime opere relative alla Canestra e, leggermente appartata una sezione video, che narra l’evoluzione del processo esplorativo di Mattioli.

Mattioli affronta il genere e il modello ambrosiano rimanendo in un personale limbo, sospeso fra una figurazione che non sarà mai più completa e un’astrazione cui non ci si può abbandonare del tutto. La relazione col modello diventa un lungo studio filtrato con l’immagine di un ammasso di scatole e foglie appoggiate su un trespolo del suo studio.

Mattioli si accosta al modello secentesco, declinandolo prima in uno studio profondo legato alla volumetria e alla luce, poi ingrandendone i particolari, con il canestro che diventa il fulcro attorno cui ruota tutta la sua ricerca.

Il titolo, The lightful fruit, si propone di giocare sulla doppia visione e percezione della luce che illumina il cestino di frutta ma attraverso il filtro della delicatezza (delight), quasi fosse uno spazio intimo, chiuso e raccolto.

Nelle sequenze filmiche che accompagnano l’esposizione vera e propria le opere sono raccolte in uno spazio irreale, uno spazio argenteo come un dagherrotipo. Questa grammatica visiva si propone di evidenziare gli elementi base che l’artista ha usato, senza porre al centro del discorso i dettagli didascalici del documento. Citazioni, ombre, luci, e un tema ossessivo per declinare un proprio idioma, oltre l’opera di Caravaggio.

Accompagna la mostra un catalogo (edito da Tacuino) con un testo inedito del Professor Claudio Strinati  e un prezioso contributo di Roberto Tassi.

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