Sarà visitabile fino all’8 gennaio 2023, all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Taranto – MArTA, la mostra “L’età dell’oro (la muta)” dell’artista Federico Gori (Prato, 1977), a cura di Eva Degl’Innocenti e Lorenzo Madaro, Museo che è tra i vincitori del bando PAC – Piano per l’Arte Contemporanea del Ministero della Cultura (bando della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura) proprio grazie a questa mostra e all’acquisizione di un’opera inedita site-specific, dello stesso artista, che entra a far parte delle collezioni dell’istituzione tarantina.
Il progetto non è un percorso agonistico di territori linguistici lontani millenni, ma una forma pacifica di dialogo, in cui le opere del contemporaneo si muovono con rispetto tra vasellame antico, mosaici, sculture. L’opera prodotta nell’ambito del bando è una scultura che unisce il tempo e lo spazio, epoche storiche lontanissime unite da ideali globali. Al centro di questo intimo itinerario di conoscenza c’è infatti il tempo, che si declina con diverse temperature concettuali e visive. Soprattutto il tempo della storia delle civiltà che sono al centro della collezione museale. E poi, naturalmente, quelle delle opere, appartenenti a differenti cicli, installate dall’artista. Il suo è un lavoro totalmente (e volutamente) disconnesso da una specifica collocazione cronologica orientata verso il presente, usa materiali che appartengono alla storia dell’uomo, la terra, il rame, elementi primigeni in grado di sviluppare forme di comunicazione radicali nel loro essere volutamente essenziali.
Le opere d’arte sono organismi viventi, hanno una loro specifica pregnanza, si muovono nello spazio cambiando pelle, trasformando il proprio stesso organismo in un corpo dinamico. Vivono nella mimesi di una zolla di terra appena vangata le sculture che costituiscono le cosmogonie di 13/12 (Santa Lucia): forme plastiche di terra che vivono la dimensione dilatata di una plasticità totalizzante, in grado di generare volumi essenziali e pregnanti. I singoli elementi di questo ciclo di lavori in progress sono diffusi in più vetrine. Il pubblico è invitato a muoversi liberamente nello spazio, alla ricerca di possibili scenari.
I polittici di rame in mostra custodiscono pattern ripetuti in più momenti, sono immagini grafiche di fossili e piante estinte. Ecco ancora una volta il tempo, anche nelle ossidazioni naturali che persistono sulle superfici in divenire. Tempo che consuma e costruisce, che concepisce nuove geografie visive e spaziali. Federico Gori conferma la maturità di un lavoro che in questo momento storico si distingue per tipologia e pratica, pur vivendo anche di intime connessioni con la storia dell’arte, anche quella italiana degli anni Sessanta e Settanta.