È aperta fino al 19 giugno prossimo la mostra antologica dedicata a Carlo Levi (Torino 1902 – Roma 1975) presso il MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro che rende omaggio al pittore-scrittore nei 120 anni dalla nascita, in occasione degli anniversari dei suoi due viaggi in Sardegna, compiuti nel maggio 1952 e nel dicembre 1962. La mostra, curata da Giorgina Bertolino, documenta l’intero arco della sua ricerca con 89 opere tra dipinti, disegni e incisioni, datate dal 1925 ai primi anni settanta. Si avvale della collaborazione della Fondazione Carlo Levi di Roma e dei prestiti di musei, collezioni pubbliche e private. È arricchita dal progetto speciale di residenza produttiva che ha visto coinvolta l’artista Vittoria Soddu (Sassari 1986) con un triplice intervento realizzato con la produzione di Fondazione Sardegna Film Commission, concepito appositamente per il percorso espositivo.
La mostra trae il titolo da “Tutto il miele è finito”, il libro di Carlo Levi sulla Sardegna edito da Einaudi nel 1964. Il libro è il racconto dei viaggi del 1952 e 1962, ed è un palinsesto di paesaggi naturali, culturali, poetici e politici. La mostra del MAN ricostruisce l’incontro fra l’artista e l’isola, offrendo l’occasione per immergersi nella sua pittura, dagli esordi alla maturità.
L’antologica ripercorre le stagioni della pittura di Carlo Levi, a cominciare dagli esordi. Al primo piano, i dipinti datati dal 1925 al 1930 mostrano le città del giovane Levi: Torino, dove è nato, Parigi e Alassio, in Liguria, dove la sua famiglia possiede una casa sulla collina: qui è ambientato “Aria”, un dipinto del 1929 appartenente alle collezioni della GAM, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. I quadri documentano la sua formazione di artista europeo e l’intenso dialogo con l’arte francese; ricompongono la cerchia familiare (con “Padre a tavola” del 1926, “Figura etrusca” del 1929 e “Due signore” del 1930, in prestito dalla Fondazione Levi) e l’ambito delle amicizie.
Le opere al secondo piano ripercorrono le stagioni successive, dai primi anni trenta agli anni settanta, seguendo l’evoluzione della “grafia ondosa”, l’inconfondibile cifra stilistica che anima gli autoritratti e i ritratti (è il caso di “Leone Ginzburg” del 1933), i paesaggi (il “Paesaggio di Alassio” del Museo Novecento di Firenze) e le nature morte (“Natura morta con pane francese” del Patrimonio artistico del Gruppo Unipol).
La pittura di Carlo Levi è un diario, una biografia: le sue opere parlano del confino in Lucania (con “La strada alle grotte” del 1935, “La fossa del Bersagliere” e “La Santarcangelese” del 1936, in prestito dal Museo Nazionale di Matera, Palazzo Lanfranchi); raccontano della guerra, della Liberazione (con “Autoritratto” del 1945 della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma) e così degli incontri, delle persone amate (“Ritratto di Linuccia Saba”, 1944-1945, Collezione RAI, Sede regionale Friuli Venezia-Giulia di Trieste) dei luoghi, le case, i giardini, gli alberi, raffigurati nel ciclo dei Carrubi dei primi anni settanta. Tutto per Carlo Levi è ritratto: il genere canonico della storia dell’arte è per lui uno strumento di conoscenza, affettivo ed empatico.
La sala che chiude l’antologica presenta, per la prima volta in Italia, 12 carte appartenenti al ciclo della cecità, un nucleo di disegni del 1973 realizzati in parallelo alla scrittura del Quaderno a cancelli, pubblicato dopo la scomparsa. In questi disegni nati dal buio, mentre è convalescente da un’operazione agli occhi, Carlo Levi si immerge nelle profondità dell’inconscio e della memoria, esplorando il proprio immaginario.