Ernesto Neto. Mentre la vita ci respira – SoPolpoVit’EreticoLe


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La GAMeC porta a Bergamo un progetto inedito dell’artista brasiliano Ernesto Neto (Rio De Janeiro, 1964). A Palazzo della Ragione, fino al 26 settembre, è allestita la mostra a lui dedicata “Mentre la vita ci respira. SoPolpoVit’EreticoLe” ed è la prima di un nuovo ciclo triennale curato da Lorenzo Giusti per la suggestiva Sala delle Capriate, sede estiva della GAMeC per il quarto anno consecutivo.

Le installazioni multisensoriali di Neto pervadono lo spazio, immergendo il visitatore in ambienti carichi di suggestione, all’interno dei quali i materiali, le essenze e le forme assumono significati molteplici. Tutto, nell’opera di Neto, concorre alla creazione di nuovi universi di senso, concepiti come strumenti per curare le ferite della società contemporanea. 

Vista dall’alto, la grande installazione centrale, dal titolo SoPolpoVit’EreticoLe, si presenta come una specie di agroglifo, un polpo disegnato sul pavimento della sala, i cui tentacoli si muovono in direzioni diverse, ricordando così anche il movimento del boa presente in numerosi progetti di Neto. Un po’ polpo, un po’ sole, un po’ cellula, il disegno presenta, al centro, un cerchio pensato come una sorta di ombelico. Nucleo generatore per eccellenza, l’ombelico è un simbolo transculturale che proietta sul concetto stesso di centro l’analogia tra universo e corpo.

Ernesto Neto, Mentre la vita ci respira

Da qui la “vita” evocata nel titolo del lavoro, che si configura come un acrostico composto dalle parole “sole”, “polpo”, “vita” ed ”eretico”, assemblate in modo da trasmettere un senso di musicalità e movimento. Pensata come un giaciglio, come uno spazio per la sosta, sul quale distendersi o sedersi per condividere l’esperienza della pausa, l’opera di Neto si avvale dell’utilizzo di materiali recuperati in loco, come pietre, paglia, ma anche piante, spezie ed erbe medicinali, inserite in sacchetti realizzati a mano con la tecnica del crochet.

L’installazione unisce l’attenzione per i temi dell’ecologia, del ritualismo e della spiritualità, caratteristici della ricerca di Neto, a visioni e suggestioni suggerite dal confronto con le origini medievali del palazzo e con la sua storia centenaria.

L’opera di Neto ripensa al cruciale passaggio della storia dell’Occidente, quello di abbandonare un pensiero riconosciuto fino a quel momento come valido per abbracciare un’interpretazione nuova, che interessò non soltanto il “vecchio continente”, ma anche le terre conquistate oltreoceano dai colonizzatori Europei, dove la persecuzione delle donne divenne uno dei più crudeli strumenti di assoggettamento e sfruttamento delle popolazioni aborigene. 

Attraverso la presenza di quattro abiti realizzati per l’occasione, l’artista invita a vestire nuovi panni e a trovare una nuova relazione con il mondo naturale, gli spiriti degli antenati e le epistemologie non occidentali a cui il progetto è legato.

L’installazione costituisce in ultima analisi un potente inno alla vita, alla natura nella sua dimensione più ancestrale, e un invito a riconsiderare l’importanza di una visione non funzionale e non antropocentrica dell’universo, insieme al principio, proprio di una concezione olistica del mondo, della sostanziale materialità del tutto.

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