Mario De Biasi, grande fotografo oltre che uomo audace, coraggioso, instancabile, documentò per “Epoca” trent’anni di storia, compreso lo sbarco sulla luna dell’Apollo 11, ma portò in Italia, per la prima volta a colori, angoli di un mondo ancora sconosciuto.
Alla Casa dei Tre Oci di Venezia, fino al 9 gennaio 2022, grazie alle sue fotografie, si viaggia nello spazio e nel tempo. Un progetto che funziona non è indissolubilmente legato ai muri che lo hanno ospitato, secondo la presidente di Civita Tre Venezie Emanuela Bassetti. Poi quei muri saranno a completa disposizione del nuovo proprietario, Nicolas Berggruen. Per i prossimi mesi, tuttavia, alla Casa dei Tre Oci da vedere ci sono più di 250 fotografie, per la gran parte stampe vintage, scattate a partire dagli Anni Cinquanta da Mario De Biasi. E ci sono anche tanti disegni, perché il leggendario fotoreporter di Epoca girava, oltre che con pesanti fotocamere, obiettivi e rullini (i rullini! Un’evocazione del passato ancor più folgorante delle stesse fotografie), anche con i suoi pennarelli colorati. A ogni occasione De Biasi scatenava la sua creatività su fogli, foglietti e pezzetti di carta recuperata. Tanto da prestare queste allegre e variopinte espressioni all’industria della ceramica: in mostra sono simbolicamente presenti alcune tazzine, a testimonianza di una creatività incontenibile.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Mario De Biasi (Sois, 1923 – Milano, 2013) trovò fra le macerie di Norimberga un manuale di tecnica fotografica, in tedesco. Quelle pagine furono come un seme piantato in una mente fertile: germogliarono prima in opere amatoriali, poi gli consentirono di essere assunto come fotografo, il primo in Italia, dal prestigioso settimanale Epoca. Da allora sulla rivista patinata si susseguirono servizi che riuscivano a proiettare i lettori nella storia – scioccanti le immagini della rivolta di Budapest, del 1956 – e nei colori dei reportage di viaggio. De Biasi tuttavia non si limitava a portare a casa le fotografie per Epoca e la mostra documenta con attenzione la sua attività privata. Le raccolte di baci, dei lavoratori durante la pausa pranzo, dei barbieri di strada sono ricerche che vogliono ricordare quanto tutti apparteniamo alla grande famiglia umana, in tutto il mondo, e la grande installazione con il mappamondo rende palese questo senso di universalità.
Alla città che ospita la mostra la curatrice Enrica Viganò e la responsabile dell’Archivio del fotografo, Silvia De Biasi hanno deciso di rendere omaggio con un caleidoscopio di fotografie scattate durante le tre edizioni del Festival del Cinema seguite da De Biasi: un approccio non formale, che trasformò i vip in “personaggi in maniche di camicia”. Ma c’è un altro personaggio che spicca e che non a caso apre il percorso dell’esposizione: una seducente Moira Orfei passeggia con il suo abito bianco per le strade di Milano, e Gli italiani si voltano. Chi non capisce accusa l’immagine di mostrare un episodio di cat calling, chi capisce coglie invece tutto il neorealismo – ancorché fortemente “progettato” come testimonia tutta la sequenza esposta – insito in questi eleganti scatti e magari, con un po’ di invidia, pensa “guarda come erano tutti magri a quei tempi!”.