Ben Ormenese e i suoi tempi


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Ben Ormenese (1930-2013), artista schivo e silenzioso ma tenace e con una personalità spiccata, dedito al suo lavoro instancabilmente e con passione, ha lasciato un’impronta profonda nella storia dell’arte del secolo scorso, ma tuttavia non ancora studiato e collocato in una giusta posizione storica.

La mostra allestita a Gaeta, nella Pinacoteca Comunale “Antonio Sapone” fino al 18 settembre prossimo, a cura di Leonardo Conti, intende proporre al pubblico e alla critica la figura dell’artista friulano in una luce a largo spettro che consenta una giusta valorizzazione dell’uomo e della sua arte.

Si tratta di un percorso antologico composto da oltre quaranta opere, dalla metà degli anni sessanta sino all’ultima stagione creativa, che focalizza come il maestro friulano sia stato uno tra i maggiori interpreti di quel grande versante “oggettuale” dell’arte contemporanea che, da Lucio Fontana, giunge vivissimo sino ai nostri giorni.

Ben Ormenese alla Galleria PoliArt, Milano, 2014

Al fine di creare il giusto contesto storico, il percorso antologico di Ben Ormenese è arricchito con importanti opere di altri maestri, di rilievo nazionale e internazionale, che per affinità di ricerca o per amicizia, hanno vissuto i tempi di una poetica durata mezzo secolo. Tra questi Agostino Bonalumi, Paolo Scheggi, Dadamaino, Gianfranco Pardi, Jorrit Tornquist, Alberto Biasi, Horacio Garcia Rossi, Julio Le Parc, Felice Canonico, Paolo Conti, Franco Costalonga e Ennio Finzi.

Vi è un nitido riferimento alla Milano degli anni sessanta e settanta, dove Ormenese lavorava e dove si respirava una esaltante apertura culturale; dove il clima di confronto intellettuale, che coinvolgeva gli artisti, le gallerie, i critici e persino i collezionisti, permise la formazione di sodalizi artistici e, talvolta, di veri e propri gruppi, in grado di porre le basi di buona parte dell’arte contemporanea.

L’originale ricerca di Ormenese, pur in una straordinaria coerenza, non ha cessato di rinnovarsi nel corso dei decenni, in un rapporto serrato con le problematiche dello spazio e della luce, che l’hanno spesso fatto accostare ad alcune tra le poetiche più importanti di quegli anni.
 È poi nota la crisi dell’artista, che lo portò nel 1978 a bruciare, in un notturno falò, le sue opere e ad abbandonare Milano, per tornare in Friuli.

Dopo diciotto anni di ricerca in completa solitudine, Ormenese decise di ritornare sulle scene dell’arte tra il 1996 e il 1997, ancora una volta realizzando opere altissime, per la capacità di costruire con la luce degli inediti spazi interni alle opere. Questa propensione a captare la luce con sistemi di specchi e incurvando le superfici per ridistribuirla nelle opere, l’hanno spesso avvicinato, per affinità, al Cinetismo internazionale. In mostra è ben documentata e approfondita anche questa fase della ricerca di Ormenese datata tra il 2000 e il 2013, affiancato da opere di alcuni dei maestri con i quali ha esposto in diversi musei del mondo.

L’ultima sezione del museo è dedicata ad alcuni artisti contemporanei che hanno creato un’opera che sia un omaggio a Ormenese; tra questi Matteo Attruia, Bruno Bani, Carlo Colli, Marcello De Angelis, Ivano Fabbri, Francesco Fienga, Silvia Inselvini e Giorgio Kiaris.

A corredo della mostra è stato pubblicato un catalogo contenente interventi critici di Dino Marangon, Giorgio Agnisola, Marcello Carlino; un’intervista d’epoca a Ormenese di Giovanni Simoneschi e le note dell’Archivio Ormenese di Sara Bastianini.

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