La Fondazione Pistoia Musei promuove una mostra antologica dedicata ad Aurelio Amendola e realizzata a cura di Marco Meneguzzo e Paola Gorettti, che ospita a Palazzo Buontalenti fino al 25 luglio.
Maestro della vecchia scuola (tutt’oggi egli fotografa soltanto in analogico), Aurelio Amendola (Pistoia, 1938) punta l’obiettivo su più fronti. Ma è nel ritratto, in particolare, che emerge il suo approccio umanista al mestiere, riuscendo, ogni volta che incontra e ritrae un personaggio famoso, a dare maggior risalto alla sua sostanza umana che alla sua notorietà. Nell’ultimo mezzo secolo, una buona fetta del mondo dell’arte è passata davanti alla sua macchina fotografica: de Chirico, Lichtenstein, Pomodoro, Warhol, e ancora Marini, Manzù, Ceroli, Kounellis, e poi ancora tanti altri. Amendola li ha conosciuti e capiti, privilegiando la dimensione quotidiana, familiare, persino intima, spesso colta in momenti di riflessione. Di ognuno Amendola ha saputo estrapolare un tratto distintivo della personalità, così come il metodo di lavoro; fotografando numerosi happening, con l’artista di turno nel suo luogo creativo d’elezione, Amendola ha immortalato la sublimazione dell’io nell’arte, sia dal punto di vista dell’artista, sia dal suo in quanto fotografo: il momento come incontro e come opera d’arte.
Quando si misura con la scultura, l’obiettivo di Amendola diviene ancora più sensibile, spaziando con pari maestria dall’antico al contemporaneo. Dalla natia Pistoia, dove incontra Giovanni Pisano e Jacopo della Quercia, Amendola scivola verso il Rinascimento, che sintetizza nell’opera di Michelangelo, di cui ci rende tutta la monumentale plasticità, seguendo pieni e vuoti, luci e ombre, “i seni e i golfi” di quel mare di marmo in cui nuota lo spirito del Rinascimento. A Michelangelo, Amendola avvicina il concittadino Marino Marini, di cui esegue i ritratti e fotografa anche le opere equestri, applicandovi la medesima sensibilità spesa per il genio di Caprese; da quei cavalli in bronzo scaturisce la medesima inquietudine, ad esempio, della Pietà, e Amendola trova il filo che li lega seguendo ancora una volta l’andamento della materia che l’artista ha tradotto in turbolenza, furore, istinto dell’oltre. Di Canova, invece, sublime cantore del corpo a metà fra romanticismo e libertinaggio, lascia trionfare la delicata bellezza muliebre, il marmo si fa leggero trasportato dalle ombreggiature che creano effetti setosi e sensuali. Amendola si avvicina a questi corpi immortali con il rispetto del vero esteta.
Lo scenario ideale per Amendola è Pistoia, la città natale che attraverso i suoi scatti riesce a elevare a luogo dell’anima, esplorandone con reverenza filiale gli angoli più nascosti dei monumenti più celebri, catturandone l’atmosfera in condizioni di luce intima e quasi d’altri tempi. Fregi, facciate spoglie, sguardi ed espressioni di statue, arcate, pulpiti, altari, piazze e scalinate. Uno scenario antico che Amendola trasporta fuori dal tempo rendendolo eterno, grazie a un efficace utilizzo dei giochi di luce e d’ombra, da sempre un tratto distintivo dello stile del fotografo. Passando per Matera, San Galgano, Gibellina e altri luoghi dell’identità italiana antica, si giunge fra le monumentali bellezze della Basilica di San Pietro in Vaticano, che fu il primo luogo di una serie dedicata ai grandi temi dell’arte italiana, che include anche il Duomo di Milano. Dovunque posi l’obiettivo, Amendola restituisce l’essenza del luogo, sia esso una città, l’interno di un monumento, un paesaggio. L’umano e il naturale si compenetrano, trovando la sintesi della bellezza della realtà.