Fino al 4 luglio la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia presenta negli spazi di Palazzetto Tito la mostra “Elena Cologni. Pratiche di cura, o del cur(v)are”, a cura di Gabi Scardi.
L’esposizione propone un percorso attraverso la pratica artistica di Cologni a partire da una serie di opere, disegni, sculture, installazioni e coreografie performative, afferenti a momenti diversi della sua ricerca, fino ad arrivare al progetto appositamente realizzato in relazione al contesto Veneziano. Il progetto espositivo si articola intorno a un concetto caro all’artista: l’elaborazione dello spazio della separazione; un “intraluogo” che unisce e separa, che è distanza, ma anche terreno comune; che è intessuto di legami e può essere colmato attraverso pratiche di cura. Il lavoro di Elena Cologni, infatti, è legato a una spiccata sensibilità spaziale, all’idea di legame affettivo e sociale, alla consapevolezza dell’interdipendenza tra individuo, collettività e ambiente. Più in particolare, l’artista si concentra sul tema della cura intesa sia come impegno relazionale personale, sia nella sua dimensione territoriale, storico-sociale, antropologica, di genere.
I suoi interventi comprendono un’esplorazione dello spazio pubblico e privato a partire da indagini storiche che toccano in molti casi i temi dell’emancipazione femminile in relazione al patrimonio sociale e culturale del passato. La tendenza a realizzare azioni partecipate e ad inserire opere nello spazio pubblico sono espressioni del valore che Cologni attribuisce alle richieste collettive. Nello stesso tempo però le forme delle sue opere, seppur radicate nella realtà fisica e sociale, attraversano un processo di riduzione, in molti casi fino all’astrazione. Il ricorso a un andamento curvo, frequente nei disegni, nelle sculture, nelle installazioni e nelle coreografie di gesti nello spazio pubblico, suggerisce la necessità di sottrarsi alla linearità riconducendo il pensiero all’idea del cerchio, metaforicamente associata a idee di equità, di partecipazione, di continuità.
Questa mostra da un lato è radicata nella storia dell’arte del Novecento: vi compare un richiamo diretto a Barbara Hepworth, che nel 1950 prese parte al Padiglione Britannico della Biennale d’Arte e che lascia delle osservazioni sulla gente in Piazza San Marco, ai quali Cologni si ispira per suoi esercizi coreografati; dall’altro l’artista si connette al contesto sociale veneziano di cui indaga mestieri tradizionali in via di estinzione e ambienti di lavoro quotidiano al fine di comprendere la relazione che intercorre tra spazio domestico e spazio lavorativo.
La mostra funge da punto di riferimento per una serie di eventi live in Italia e all’estero previsti durante i mesi di apertura.