A Palazzo Fava Sfregi di Bologna, fino al 25 luglio è esposta la prima mostra antologica in Italia di Nicola Samorì (Forlì, 1977), realizzata a cura di Alberto Zanchetta e Chiara Stefani. La mostra, composta da circa 80 lavori che spaziano dalla scultura alla pittura, dagli esordi fino alle realizzazioni più recenti, è un progetto di Genus Bononiae in collaborazione con Musei nella Città e con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.
Bologna è la città che ha visto formarsi Samorì presso l’Accademia di Belle Arti; già in quel contesto hanno preso forma il suo stile e la sua poetica, indissolubilmente connessi ad una profonda necessità di fustigare la serenità delle immagini, prassi che ha mantenuto e sviluppato nel corso degli anni sperimentando sempre nuove tecniche. I traumi inferti alle opere dall’artista, che tenta di turbare, trasgredire e trasfigurare immagini preesistenti, presuppongono infatti, ieri come oggi, un potere taumaturgico.
L’esposizione a Palazzo Fava è occasione per Samorì di cimentarsi in un faccia a faccia con la storia dell’arte, e in particolare con l’epoca barocca, articolando un percorso di suggestioni e analogie e innescando una stretta e intensa relazione con i preziosi fregi che decorano le pareti del piano nobile.
Così nel Salone con il mito di Giasone e Medea un corpus di lavori databili all’ultimo decennio di attività sembrerà reagire alla pittura dei Carracci, mentre grazie ai lavori incentrati sull’ustione del rame, con un focus sul tema del desinare e del corpo scarnificato, l’artista tenta uno stravolgimento cromatico della Sala degli allievi di Ludovico Carracci. La stanza dipinta da Francesco Albani ospita una “camera delle meraviglie” di soggetti vegetali e animali, mentre la Sala delle Grottesche accoglie l’affresco monumentale Malafonte che, in un gioco di perfette geometrie, sembra essere stato concepito da sempre per quello spazio. Il percorso espositivo è inoltre arricchito dalla presenza di alcune opere individuate all’interno delle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo (che comprendono anche il grande Giardino anatomico dello stesso artista), stabilendo una “affinità elettiva”, oltre che con gli spazi, con lo stesso patrimonio del Museo. Tra le opere in mostra la Maddalena Penitente del Canova e i suggestivi Ritratti di donne cieche di Annibale Carracci.
Rispetto alle imponenti opere del piano nobile, nelle sale del secondo piano saranno esposti lavori di piccolo e medio formato che svilupperanno singoli temi o costituiranno dei focus sulle diverse tecniche utilizzate dall’artista: l’accecamento dell’immagine, l’aggregazione di materiali di risulta, la pittura su pietra, il disegno e la scultura. Opere più intime, ma non meno preziose, che permettono allo spettatore di abbracciare la vasta e complessa produzione di Samorì, una ricerca ossessiva, quasi maniacale.
La mostra è corredata da un catalogo edito da Electa.