Venezia si addobberà a festa durante il Natale 2020 grazie ad un’altra opera: l’Albero Digitale di Fabrizio Plessi, il pioniere italiano della Video Arte, già presente con L’Età dell’Oro in Piazza San Marco dalle finestre del Museo Correr.
Se, come dicevano i latini, l’Uomo è il suo Nome (Nomen omen), risulta chiaro che Plessi è il plurale di “plesso” e il plesso solare della regione addominale è anche la sede di un centro psichico (detto chakra) strettamente associato ad emozioni e sentimenti. Ciò per dire che l’operare di Fabrizio Plessi non ha solo e tanto legame con la forma della video art (di cui è un riconosciuto pioniere), bensì questo suo “centro psichico” è intimamente legato alla sua estetica dei valori culturali. Quasi venti anni trascorsi dalla precedente installazione: Waterfire dove la lotta fra gli elementi naturali del Fuoco e dell’Acqua interagivano in una dialettica fra spegnimento e risucchio della vita e ardente passione per l’esistenza, senza passare per la figurazione di un Bill Viola ma rimanendo nell’astrazione mentale di una scena benché artificiale, ricostruita usando la facciata del Correr in Piazza San Marco, in cui coinvolgendo l’urbano rimandava a specchio la possibilità contemplativa di ognuno. Qui, a distanza di tempo, con L’Età dell’Oro ci riporta dentro una Natura ricreata che ci appartiene in questo secolo di dominio della scienza. Sappiamo che la scienza domina l’economia e questa la politica. Pertanto chi ha brevetti nuovi farà di certo soldoni a palate. La scoperta del vaccino per il Covid lo sta a dimostrare! Ma di certo qui, in questa grande opera che circonda l’intera Piazza veneziana, si è passati da un uso glamour della cultura ad una sottile critica alla stessa modalità del sentire la tecnologia. Sia Pierre Restany che altri parlavano di “saturazione del mezzo” e saltando la proposizione che il “mezzo è il messaggio”, noi guardiamo allo “spettacolo sociale” dove la lussuria dell’oro diviene la depauperazione del suo plus valore per una spettacolarità mistica. Dentro una Venezia già dorata, già bizantina, ma oggi non più capitale della Serenissima, bensì ancella bistrattata dalla politica globale di un mondo che si muove in una economia espansiva a macchia di leopardo. Qui (in un paese ipotetico) si è ricchi, mentre lì (altro paese) si è poveri, dentro una globalizzazione generale che trasmette i medesimi valori. Ecco che Venezia, oggi, risplende misticamente per la sua storia e l’opera di Fabrizio Plessi ne corona gli anfratti, le modanature, la statuaria, ne valorizza l’idea, magari pure l’identità storica, con la sua Età dell’Oro persa e ritrovata grazie a questa colata d’oro che brucia come una lava incandescente che va oltre il suo stupire. Egli è uomo/artista che sorprende storicizzando; come già a Palazzo Loredan nel 2009 dove presentò, nell’ambito della 53esima Biennale, “L’anima della Pietra” una installazione che riprendeva il Pantheon Veneto dei busti ottocenteschi riproponendone un’immagine video fissa, allocata sopra il busto marmoreo, che ne diventava una lettura dell’anima della pietra propriamente. Il suo è un operare che va al di là dell’umano perché vi è insistita una fissità dell’immagine, attuando così una trasfigurazione che diventa mistica contemporanea, come per le miniature dei libri antichi che nel loro scorrere fra le pagine acquistano autonomia fino a diventare una storia a sé vera e propria. Ma è nel “perturbante” che Egli dà il meglio di sé. Tutte le sue installazioni inconsciamente usano il Perturbante come “spaesamento”, non nell’accezione surrealista di altro da sé, appartenente al psichico, ma come elemento smisurato che prende il sé e ne fa sentire la sua fragilità di fronte all’enorme, al fuori misura, al barocchismo insito nel suo operato. L’Astante di fronte all’opera viene colpito nel più profondo del suo essere e ne esce stupito, meravigliato. Così è per tutta la scultura contemporanea di intrattenimento. Cioè di quella scultura che domina le grandi piazze come L’ago, filo e Nodo di Claes Oldenburg in Milano, o il “fagiolo” lucente: The Bean di Anish Kapoor di Chicago, per fare degli esempi cogenti. E così sarà per l’Albero di Natale (Albero Digitale) da lui progettato per piazza San Marco di Venezia con cui l’Amministrazione Comunale celebrerà le festività. Un albero di tre piani di grandezza con tanti monitor Tv appesi che trasmettono immagini dorate. Un effetto tridimensionale che ci sovrasterà, magari partendo da un’idea di fragilità momentanea, che però la certezza di una tecnologia potente, unita all’immaginazione, riuscirà a garantirci una ripresa, e un riscatto, all’interno di un nuovo Rinascimento.