Scenari del prossimo incerto futuro
A ipotizzare gli scenari del prossimo incerto futuro si possono leggere, in quest’ultimo scorcio di 2020, tre nuovi libri che trattano rispettivamente di collezionisti, di dimenticati e di automi. Va subito premesso che esistono oggi svariate modalità di raccontare, spiegare, inscenare, analizzare e ipitezzare l’arte figurativa dell’avvenire sul libro stampato: i destini prossimi o remoti dimpittura, scultura, architettura, design, ma anche fotografia, video, fumetto, grafica, eccetera, sono argomenti che da sempre interessano scrittori, filosofi e curiosi, già prima della nascita della critica d’arte e della storia dell’arte, benché una disciplina etichettabile come estetica già dalle prime civiltà, di certo con l’antica Grecia, come si deduce dalle teorie di alcuni grandi pensatori quali Platone e Aristotele. Senza però ripercorre il cammino dei rapporti complessi, eterocliti e stratificati fra arte e futuro, basta leggere e osservare tre recenti novità editoriali per comprendere la varietà e il valore di un vero proprio genere, se non letterario, perlomeno mediatico.
Partendo dai collezionisti come da coloro che fanno del possesso dell’opera d’arte una missione personale (e talvolta umanitaria) onde preservarla ai posteri, il libro Viaggi d’arte. Giro del mondo con 60 collezionisti (Gruppo 24 ore) a cura di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo non è il solito coffee table book, ma un volume illustrato utili a conoscere i grandi mecenati dell’arte contemporanea. La curatrice, essendo lei stessa non solo importante raccoglitrice di opere recenti, ma pure alla testa di un museo è una fondazione che portano il suo triplo cognome, ha gioco facile intervistare i ricchi proprietari di notevoli collezioni incentrate sulle nuovissime tendenze dagli anni Ottanta a oggi. Ciò che anima un vip, un imprenditore, un professionista, un industriale a circondarsi di opere difficili, radicali, eccessive non è tanto il discorso dell’investimento economico o del fiuto dell’affare, bensì una passione sincera che si alimenta comunque sugli andamenti di un mercato che, per quanto riguarda l’arte, sia essa antica, medievale, moderna e contemporanea, ha le stesse regole capitaliste del denaro e della finanza in circolazione.
Nominare qui i sessanta collezionisti e loro opinioni sarebbe troppo lungo e farebbe perdere al lettore il gusto della scoperta. Basta solo ricordare che, essendo un testo con molte immagini, si possono apprezzare le foto di tutti i protagonisti, sempre ritratti davanti ad alcune delle loro opere acquisite, che si integrano con le immagini degli interni (case, appartamenti o gallerie) dove sono esposte quadri, disegni, statue, installazioni. E poi ci sono anche le singole opere riprodotte dei vari Arman, Kapoor, Nauman, Fabre, Baldessari, Arp, Boetti, Paik, Soto, Ruscha, Albers, Warhol, Fontana, Cattelan, Lichtenstein (per citare solo i “Maestri”) molte delle quali visibili in luoghi pubblici grazie al sincero mecenatismo dei loro cosmopoliti possessori.
Passando ai dimenticati, ossia agli artisti del XX secolo, che in vita e soprattutto post mortem oggi non godono della fama di un Picasso, un Duchamps, di un Matisse, di un De Chirico, ecco un altro testo illustrato di bizzarro interesse è Outsiders. Storie di artisti geniali che non troverete nei manuali di storia dell’arte (Giunti) di Alfredo Accattino: l’autore non è né un critico né uno storico dell’arte, ma un creativo che si occupa di grossi eventi dalle cerimonie olimpiche di Torino 2006 a Expo 2015, da eventi live a show televisivi; e tale versatilità espressiva, legata soprattutto alla messinscena e allo spettacolo fa sì che egli scopra o riscopra 34 artisti/artiste (soprattutto pittori e qualche fotografo) che nella loro storia professionale, lungo il Novecento, vengono, a seconda dei casa, denigrati, rimossi, emarginati, nascosti, umiliati, esclusi, ridimensionati o semplicemente dimenticati: non tutti, però, nel senso che ad esempio gli italiani Cagnaccio di San Pietro, Gino Rossi, Mario Chiattone, il francese Roland Topor, gli statunitensi August Sander, Gerard Murphy, Maya Deren sono forse da sempre noti e geniali agli addetti ai lavori. Ma altri – pure qui meglio non citarli tutti per lasciare al lettore il piacere dell’esplorazione intellettuale – paiono davvero grossi dimenticati.
Sta di fatto che da questo libro in poi l’arte contemporanea dovrebbe essere riscritta con l’affiancare ai celeberrimi rinnovatori come i quattro sopra citati e più avanti i vari Pollock, Fontana, Klein, Manzoni, Warhol, tutti questi outsiders ai quali la sfortuna, di frequente in termini di tragica fatalità, non permette la circolazione delle opere, l’apprezzamento dei critici, il consenso dei media, la curiosità dei collezionisti. Ogni vicenda individuale è dunque la storia di un fallimento più esistenziale che estetico, visto che gli esiti artistici raggiunti sono rimarchevoli, illuminanti, preveggente; e in molti casi è proprio il contesto extra-artistico (sociale, politico, religioso, finanziario) a penalizzare questi artisti spesso costretti, loro malgrado, a soccombere di fronte ad avvenimenti che il singolo individuo non può o non riesce ad affrontare o a gestire.
Per concludere oggi e forse sempre più spesso nel futuro vivrà di digitale, web, elettronica, dove magari l’uomo interagirà con fiction/realtà fatta di corpi virtuali. L’idea del robot non è nuova così come quella dell’intelligenza artificiale e ha le proprie origini negli automi costruiti fin dalle più antiche civiltà. Un terzo libro infatti, Automi (Iacobelli) di Guido Accascina ne spiega le ragioni profonde, comunicando che de fatto gli automi sono tra i rari manufatti inventati dall’essere umano in grado di riunire in un unico oggetto talento artistico, inventiva dell’ingegno, movimento a sua volta programmabile, prevedibile, controllabile.
Accascina dunque percorre la storia delle invenzioni degli automi (con relativi spesso celebri autori, partendo dall’Egitto dei Tolomei e giungendo fino ai nostri giorni, analizzando dettagliatamente i differenti progetti arrivati talvolta in ottimo stato (o di cui esiste documentazione esaustiva). Agli automi l’uomo affida, nel corso del tempo, svariate funzioni non solo artistiche: in primis stupire e intrattenere il pubblico, in parallelo o in un secondo momento favorire ricerche in ambito naturalistico e via via misurare il tempo in modo condiviso, sperimentare la meccanica e la pneumatica, personificare una divinità, fare musica, mescere bevande, per predire gli spostamenti degli astri, mettere in movimento scene teatrali, attori e a volte il teatro stesso, imitare il verso degli animali, dare vita ai simboli del potere laico e religioso, spaventare e intimorire gli spettatori, consolare un re intristito (e regalargli dei fiori), rallegrare un giardino o una tavola principesca, servire il tè, offrire un dono pregiato a un sultano, studiare protesi ortopediche, contribuire ad affermare l’idea di scienza, sperimentare programmazione e controllo delle macchine, per costruire gioielli meccanici, insegnare letteratura e meccanica, per ironizzare, fantasticare e giocare. In altre parole gli automi servono per fare arte e cultura e non a caso il libro termina con un discorso sul Modern Automata Museum (di cui Accascina è curatore) dove la produzione contemporanea, lungi dall’occupare quanto realizzato da oltre mezzo secolo con informatica, cibernetica, robotica, telematica, elettronica, ha i piedi ben piantati nel terreno artistico, forse l’unico a garantire agli automi un lungo roseo futuro…