Perché New York e Londra


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Si potrà discutere all’infinito su quali e quante sia oggi le capitali dell’arte contemporanea, ma una cosa è indubbia: dopo il predominio di Parigi su tutta l’arte moderna dal neoclassicismo fino ai surrealisti (e oltre), dunque per circa un secolo e mezzo, ecco che l’epicentro, dal dopoguerra a oggi, si sposta verso altre metropoli che fanno parlare di sé per diverse ragioni anche e soprattutto extra-artistiche. Si tratta ovviamente di New York e Londra, che capitalizzano soprattutto gli aspetti economici legati al mondo della pittura e della scultura (e per ulteriori aspetti persino dell’architettura, che pur non concerne l’oggetto di lusso o bene di consumo nelle aste, nelle gallerie, delle compravendite, nelle fiere). Basti pensare, in tal senso, che a Londra nascono le case d’aste ora più ricche e potenti in assoluto proprio nell’arte moderna e contemporanea, Christie’s e Sotheby’s, che posseggono filiali in tutto il mondo (e quella di New York è tra le più ambite). Ci sarebbero da scrivere libro o tesi di laurea sui fatturati miliardari che stranamente l’arte contemporanea produce grazie a queste o altre istituzioni: e va detto ‘stranamente’ per il fatto che, pur essendo la pittura e la scultura odierne (oltre tutto ciò che nell’estetica va, concettualmente, ben al di là di quadri o statue come oggetti fisici, benché questi ultimi restino i prediletti fra i compratori) ignorate, escluse, rimosse dal ceto medio o dal grosso pubblico, costituiscono appunto ‘stranamente’ i desideri più reconditi, in fatto di soldi, assieme a Rinascimento, Impressionismo e Post-Impressionismo.

In altre parole rispetto all’arte antica, medievale, barocca, rococò, romantica, macchiaiola o a quella delle scuole nazionali e delle avanguardie storiche, il Quattro-Cinquecento e il tardo Ottocento risultano di maggior attrazione non solo per i collezionisti, ma anche per i comuni mortali (come dimostrato dalle visite a mostre specifiche e a sale di musei che espongono tali epoche), a cui vanno aggiunti, per il giro d’affari, gli ultimi settant’anni che, salvo rare eccezioni, vengono ancora respinti dal cosiddetto ‘uomo della strada’. Cos’abbiano in comune Rinascimento, Impressionismo e Post-Impressionismo per l’altro gradimento diffuso è presto detto: al di là dell’indubbio valore critico, c’è un ideale del bello e del realismo che – per l’oggi – non deriva tanto dall’ideale classico, quanto piuttosto da un gusto moderato fra mainstream e international style che lega anche molti altri fenomeni umani in Occidente e di conseguenza in un Pianeta ormai globalizzato. Ciò che invece non si spiega è come Londra e New York siano riuscite a imporre l’arte contemporanea quale investimento sicuro, facendo levitare i prezzi alle stelle delle opere di pochi artisti, ancor oggi fraintesi, incompresi, vilipesi dal fruitore mediano. Si tratta di uno dei molti paradossi del mondo attuale: l’arte contemporanea di per sé antiestetica, provocatoria, esagerata, oltranzista debordante, anarcoide, sovversiva, rivoluzionaria, mediante personaggi ancora discussi o discutibili (sui quali il futuro resta incerto per quanto concerne il ruolo nella storia dell’arte) si fa pagare assai più di tendenze, correnti, esperienze passate che sono da anni o secoli consolidate el giudizio degli esperti e nell’immaginario della collettività.

In tutto questo forse conta (molto o moltissimo) la centralità di Londra e New York nel modo di vivere la società contemporanea. Perché anzitutto New York che precede di molti decenni l’odierno primato londinese? La risposta è semplice: tra il 1943 e il 1990 una dozzina di eventi fanno della megalopoli un modello persino alternativo nella dialettica arte/città. Nel 1943 Salomon R. Guggenheim che nel 1937 fonda il museo (d’arte moderna e contemporanea) che porta il suon nome, apre una nuova prestigiosa sede, fatto erigere dal grandissimo architetto Frank Llyod Wright; nello stesso anno la nipote Peggy Guggenheim inaugura la propria galleria Art Of This Century, con la quale fa conoscere agli americani le avanguardie storiche e al contempo fa debuttare quella che poi verrà chiamata New York School, di cui Jackson Pollock risulta il principale esponente. E nel 1949 il settimanale «Life Magazine» dedica proprio a Pollock un lungo articolo, chiedendosi, in un Paese dove l’action painting è ritenuta una serie di scarabocchi, se egli sia il maggior artista vivente, mostrandosi la rivista ‘aperta’ ai ribaltamenti culturali. Nel 1953 Robert Rauschenberg chiede a Wilem De Kooning un disegno da cancellare: dunque un giovane emergente offre a un ormai acclamato astrattista la chance di compiere un gesto dada, già proiettato nel futuro concettuale e postmoderno. Nel 1961 l’affermato illustratore pubblicitario Andy Warhol dallo stile neoliberty si dà alla pop-art quasi per caso pagando 50 dollari all’amica arredatrice Muriel Latow per suggerirgli un’idea, consistente nel disegnare ciò che egli ama di più dalla vita (i soldi, dunque le banconote dipinte prima delle Campbell e delle Marilyn); per lui inizia la pop-art, in cui diverrà in breve il massimo esponente mondiale.

Gli ultimi due eventi, appena descritti, preludono a un ulteriore ribaltamento estetico, con un’onda lunga per almeno un quindicennio: in pieno 1968 la pittrice Yayoi Kusama dipinge pois sui corpi ignudi di quattro ballerini maschi e femmine che danzano davanti la Borsa, quasi subito bloccati dalla polizia, ma anticipatore dello stile happening che connota l’anno della contestazione generale. Nel 1974 alla René Block Gallery il tedesco Joseph Beuys resta chiuso per tre giorni in compagnia di un coyote e di pochi altri oggetti: l’America riconosce l’importanza del contributo europeo alla neoavanguardia più anarchica, oltranzista, concettuale. Nel 1982 il graffitista Keith Haring organizza con il gallerista Tony Shafrazi una propria mostra a cui presenziano artisti di altri generi, suggellando ufficialmente l’importanza di questa nuova estetica sorta da recenti tradizioni spontanee. Nel 1984 un gruppo di donne protesta davanti al MOMA per la mancanza di opere femminili in un’importante mostra che si inaugura: alcuni manifestanti daranno poi viva alle Guerrilla Girls, forse il movimento artistico più politicizzato nella storia statunitense. Nel 1990 da Christie’s un privato spende 82 milioni di dollari per Il ritratto del dottor Gachet di Vincent Van Gogh, stabilendo un record imbattuto per un ventennio, ma facendo anche schizzare in alto il mercato delle opere d’arte.

Keith Haring (1986)

Londra invece, nell’arte contemporanea, arriva dopo, nel tardo Novecento, con la sola eccezione del primo esempio di pop-art in assoluto, ovvero il collage Ma cosa rende le case così diverse, così attraenti? (1956) di Richard Hamilton esposto a Londra durante la mostra dell’Indipendent Group all’ICA (Institut of Contemporary Art) dal titolo Questo è il domani. Occorre infatti considerare soprattutto Eighties e Nineties quale ventennio di incubazione, manifestazione, esplosione, del fenomeno londinese e occorre aspettare il 1982 quando un giovanissimo studente del periferico Goldsmiths Collegeorganizza la mostra dal titolo Freeze con altri quindici ‘colleghi’; lo sconosciuto è nientemeno che Damien Hisrt ed è l’inizio della YBA (Young British Art), che vede la massima consacrazione internazionale con l’evento Sensation che, nel 1997, da Londra si sposta a Berlino e New York. Tre anni prima, alla fine del 1993 la scultrice Rachel Whitehead fa un calco in cemento degli interni di una casa  a schiera al 193 di Grove Road (Londra Est), ma poche settimana dopo un dirigente del consiglio di zona ordine di abbatterla perché semplicemente non gli gusta; nonostante le petizione in parlamento di noti intellettuali e gente comune l’opera viene rasa al suolo in un Paese civilissimo sempre pronto a protestare contro le demolizioni a fine politici di Al Qaeda o dell’Isis di siti archeologici sotto l’egida UNESCO.

Infine nel 2000 viene inaugurata a Londra la nuovissima sede di Tate Modern, che da allora a oggi forse supera in prestigio, a livello espositivo, precedenti analoghe istituzioni dal Beaubourg al Moma, dallo Stedelik al Maxxi, da Mumox al Guggenheim di Bilbao. Nel proporsi quale museo nuovo, diverso, originale Tate Modern commissione al danese Olafur Eliasson The Weather Project,un’installazione con alluminio, impalcature, filmati, lampade, macchine del vapore, pellicole riflettente per inscenare l’ossessione tutta inglese per il bollettino meteorologico: un sole estivo artificiale consente ai visitatori di comportarsi da turisti con il picnic mentre esternamente la città è in preda alla pioggia e al freddo. Tuttavia la notorietà londinese in fatto diarte appartiene di nuovo a Hirst con la scultura. For the Love of God  (2007),ovvero il teschio tempestato di oltre mille diamanti, costato sedici milioni di euro in quanto a materia prima, ma venduto a cinquasette milioni, il prezzo più alto, mai pagato per un’opera di un artista vivente.

Insomma, per concludere, Guggenheim, Pollock, Rauschenberg, Warthol, Haring, Hirst, Whitehead, eccetera sono solo alcuni esempi tra centinaia che negli ultimi hanno rendono New York e Londra centri universali per capire dove stia andando il mondo dell’arte e non soltanto quello della ricerca contemporanea.

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