Anche coloro che non sono molto addentro all’arte contemporanea, ricordano sicuramente l’opera “The Floating Piers”, la “passerella” che Christo aveva realizzato nel 2016 sul lago d’Iseo e che aveva registrato migliaia di visitatori.
Oggi siamo ad annunciare la sua morte, avvenuta nella sua casa di New York il 31 maggio, a 84 anni di età.
Assieme alla moglie, Jeanne-Claude, e poi da solo dopo la scomparsa della compagna di vita e di arte avvenuta nel 2009, ha realizzato nel mondo numerose opere monumentali, la cui natura effimera andava controcorrente rispetto alla convinzione nell’immaginario collettivo di patrimonializzazione dell’arte.
Christo e Jeanne-Claude, erano nati nello stesso giorno: il 13 giugno 1935; Christo Yavachev a Gabrovo in Bulgaria e Jeanne-Claude Denat de Guillebon a Casablanca in Marocco. Si erano incontrati nel 1958 a Parigi; la loro relazione iniziò nel 1960, mentre la complicità lavorativa iniziò nel 1961 con la prima opera a quattro mani nel porto di Colonia.
Insieme furono gli artefici e fra i maggiori rappresentanti della Land Art; realizzarono opere su grande scala, che nel gergo popolare era semplicemente “impacchettamento” di monumenti o edifici soprattutto pubblici, comunque opere di grande impatto storico-artistico-architettonico e paesaggistico. Questi “imballaggi” non erano un vezzo per “coprire” il soggetto individuato, ma un modo di modificare l’aspetto dei manufatti o del paesaggio, aggiungendo un grande telo, praticamente un abito nuovo, lasciando intravedere le forme, i lineamenti, le caratteristiche basilari.
Nel pieno spirito dell’ideale della Land Art, questi interventi non sono classificabili con la terminologia tradizionale dell’arte: non sono sculture e tantomeno pitture, ma sono interventi diretti sull’ambiente, naturale o manufatti umani che, inoltre, sono destinati alla rimozione dopo un tempo più o meno lungo. Ma ciò indica altresì l’effimerità di ogni cosa, anche quella che nel nostro immaginario è “eterno”, come la natura in continua trasformazione o i monumenti arrendevoli al tempo e agli agenti atmosferici, anche quando tutto avviene in modo impercettibile.
In Italia Christo ha realizzato diverse installazioni: a Spoleto nel 1968, in occasione del Festival dei due Mondi, aveva impacchettato la Fontana della piazza del Mercato e il Fortilizio dei Mulini; a Milano nel 1970, era toccato al monumento a Vittorio Emanuele in piazza Duomo; a Roma nel 1974 aveva imballato Porta Pinciana; e, poi, il lago d’Iseo nel 2016. Invece l’opera più grande è quella realizzata in California tra il 1972 e il 1976: “Running Fence”, una distesa di quaranta chilometri di teli di nylon bianchi da Est a Ovest a Nord di San Francisco, come una sorta di recinzione.
Previsto per il 2021 l’impacchettamento temporaneo dell’Arco di Trionfo di Parigi: “L’Arc de Triomphe, Wrapped”, che sarà realizzato comunque, secondo la volontà dell’artista stesso. Rimangono a testimoniare le opere compiute e poi disinstallate le fotografie, naturalmente, i progetti e i bozzetti, mentre la genialità di Christo, “leggenda delle cose impossibili”, rimarrà salda nella storia, legata alla sua certezza che “La bellezza, la scienza e l’arte trionfano sempre”, come scrisse nel 1958.