Chiunque osservi un’opera di Jan Knap si sente a casa propria, inteso nel senso di focolare, è pervaso da quel sentimento di pienezza e di sollievo che sgorga dall’intimo; prova le sensazioni tipiche che si percepiscono quando si ha la certezza di essere accolti nel proprio “nido”, protetti e isolati dalle insidiose ansie del mondo. L’osservatore è tanto coinvolto da sentirsi elemento integrante del dipinto, di essere personaggio partecipe delle scene dalle quali è uscito, o forse no, è rimasto dentro e da lì direttamente gode la pace e l’armonia dell’ambiente. Forse no, non si esce, perché dentro quelle scene si è effettivamente e, caso mai, ci si appropria della consapevolezza di avere un’anima, la quale ha bisogno di trovare una dimensione consona e un luogo adeguato. È questo un modo per delineare un’anima unica dell’umanità, una famiglia spirituale, una unione tra gli spiriti che va oltre il senso comune di collettività.
Nelle atmosfere di poetica bucolica c’è la pace di coloro che si ritrovano in quei luoghi, con altri simili, privi di violenze, di male, di ansie, di paure; è il regno dell’amore, della gioia semplice, un’isola “che non c’è”, ma dove tutti, consciamente o meno, vorremmo essere. Sono luoghi della mente, dove solo le anime affini si ritrovano e si riconoscono dentro atmosfere rarefatte, trasparenti, dove la luce, l’energia, il calore del bene sono i veri soggetti che, attraverso i colori e gli indovinati personaggi, si esprimono nell’intimità profonda dei valori intrinseci. Le forme, le figure, i diversi elementi rappresentano i campi che delimitano le sensazioni, le emozioni, il senso della luce e il mistero dell’ombra secondo tonalità variabili e variate. Ecco perché ognuno è l’opera stessa e non è solo dentro di essa; dove le aree sono sgombre da nubi e oppressioni, dove ognuno trova se stesso o colui che vorrebbe essere, trova la propria anima, la propria dimensione, la propria poesia che nel silenzio compone una perfetta armonia, le cui vibrazioni impercettibili producono sussurrate musiche celestiali.
L’esperienza concreta del tempo e dello spazio che appartiene alla cultura dell’umanità occidentale, qui muta e si trasforma nella novità capace di intuire il senso e i valori di eternità e infinito.
Jan Knap possiede una totale padronanza della cultura acquisita e sa metterla a disposizione della semplicità, perché questa, assieme alla perizia tecnica, gli è spontanea, serena, naturale, senza ostentazioni di sorta. È come se le immagini fossero precostituite nel cuore per fluire liberamente dalle mani dell’artista, simile alla trasmissione di energie positive che si concretizzano nelle stesure cromatiche limpide e nelle forme dolci, arrotondate trasudanti, dagli atteggiamenti e dagli sguardi, l’alito vitale. Sono opere che vanno guardate senza preconcetti; esse piacciono ai “puri di cuore”, perché racchiudono il luogo desiderato, la terra promessa, il quotidiano ideale, il misticismo altrimenti travolto dal fragore del mondo.
Fin dal momento in cui si varca la soglia dello studio di Knap, a Planá nella Repubblica Ceca, si è accolti da un tacito invito al raccoglimento, ci si sente intimamente più leggeri, spuntano le ali trasparenti delle quali sono dotati i bimbi che popolano i dipinti. Si entra in un luogo sacro e viene d’istinto l’impellenza di fare un segno di croce osservando il dovuto silenzio. All’improvviso le curiosità paiono trovare risposte spontanee e si percepisce la lealtà dell’espressione artistica, delle immagini formulate, delle composizioni cromatiche, dell’insieme del linguaggio. Jan Knap mette a proprio agio l’interlocutore, gli è subito amico e il colloquio con lui è pacato, dolce, crea la stessa atmosfera dei dipinti difesa da un guscio di stupore contro l’innaturalezza, la provocazione, la malizia. Presso di lui non si viene investiti da fiumi di parole sul perché e il percome delle ricerche, delle esperienze, delle soluzioni, delle frenesie; la sensazione più immediata è quella di serenità data dalla sicurezza dell’incondizionata, rousseauiana spontaneità aliena alla spasmosi del fare qualcosa a tutti i costi. Saper ascoltare isentimenti positivi e concretizzarli in immagini fruibili è la vera novità che, in un mondo dove vale la legge del più prepotente, rivaluta l’innocenza trasmessa dagli sguardi dei bimbi e dalla mitezza dei personaggi, umani e animali.
In qualche modo, e in questo senso si può intuire la nota nostalgica, le opere di Knap sono un monito alla tendenza della società attuale a prediligere la corruzione, a falsificare l’esistenza, a far tacere i buoni sentimenti, a rinnegare se stessi per dare più forza al potere e offrono un’indicazione per il recupero dell’umanità con il riconoscimento delle vere ricchezze, a portata di tutti, come la grandiosa semplicità del primigenio nucleo sociale, che è la famiglia, vissuta e fondata sull’amore anziché su diritti e doveri. L’Amore. Tutto il resto è conseguenza, anche il saper riscoprire le gioie autentiche, la pace interiore e con il mondo, il rispetto per se stessi e per il prossimo, inclusa la natura animale e vegetale, l’ambiente.
Se il carisma dell’arte sta nella capacità di dare all’uomo ciò che egli è incapace di riconoscere o che ha perso, quel qualcosa che gli dà gioia e serenità, Knap offre una risposta concreta attraverso le sue opere; esse trasmettono sentimenti positivi e bandiscono ogni condizione cervellotica, sono luoghi dove tutto è chiaro, non c’è nulla da capire: è così, semplicemente, a tal punto da apparire impenetrabile a chi si accosta con pregiudizi e ottiene una visione distorta.
A ben pensare, la complicanza e le difficoltà nascono proprio dalla semplicità perduta, dalla difficoltà a riconoscere la propria natura e le inclinazioni sane soffocate dalle velleità. Knap dimostra come la cultura può arricchire le potenzialità umane anziché inaridire i rapporti sociali e civili, come spesso avviene. Con l’elogio alla positività, scevro da qualsiasi piaggeria, la sua espressione pittorica ha anche una funzione etica nel cogliere certi aspetti repressi da un falso pudore, e li spoglia, li cristallizza, non per esasperarli, ma per renderli facilmente riconoscibili e recuperabili. Quindi, i suoi dipinti non sono un rifacimento semplicistico, una copia del reale o del già fatto, quanto, invece, una vera ri-creazione, una palingenesi del quotidiano, mantenendo gli aspetti migliori della dualità umana: quella naturale e quella intellettiva, dove la seconda si serve della cultura in maniera costruttiva aprendo la mente verso nuovi orizzonti.
La religiosità e la bontà emergono sempre, qualsiasi siano i soggetti trattati, perché è una condizione individualmente intima a prescindere dalla religione di appartenenza o meno, ma quando il tema è dedicato al sacro la pregnanza aumenta proporzionalmente al carisma del protagonista con il suo esempio storico o mitico.
Antico e moderno, religioso e profano, mito e realtà, quotidiano e fiabesco, sono perennemente a confronto e in simbiosi nelle opere di Knap, nelle quali l’Arcadia acquista una dimensione verosimile e il lavoro “nobilita”, senza affaticare, perché tutto è più simile al gioco della vita piuttosto che al dovere di vivere con dignità umana.
Il mantenimento dell’animo fanciullo nel conseguimento del pensiero colto è il segreto di un alto grado di civiltà e segno tangibile di maturità mentale, cioè sapienza pura e comprensione del destino dell’uomo.
Semplicità ed ermetismo, contemporaneamente espliciti in queste opere, costituiscono il piacere mentale e fisico della fruizione; la prima data dalla costruzione e dalle cromie gradevoli e il secondo dalla complessità simbolica, anche quando sembrerebbe involontaria, ma tanto più colmo di implicazioni quanto più immediata è la sua spontaneità. La pittura è un modo di pensare, di sognare, di desiderare e l’opera d’arte è il luogo contemporaneamente fantastico e concreto dove si formula l’universo immaginifico e dà un senso alle riflessioni, dove riferimenti simbolici e allusioni sono la vita quotidiana, naturale della mente. Essa, in quanto mezzo comunicativo tra i più efficaci, sapienti, globalizzami, rivela in quella di Knap una particolare qualità galvanizzante determinata da fondamenti verbalmente in antitesi la cui simbiosi, invece, genera l’elemento nuovo destinato al coinvolgimento. Cultura e ingenuità, maturità e stupore, raziocinio e sentimento, quotidianità e atemporalità, realtà e sogno, via via pensando emergono bivalenze non più come poli opposti, ma come valori complementari e inscindibili. Ogni processo è naturale e nessuna attività turba l’ordine; lo svolgimento della vita si snoda in un presepe, senza inizio e senza fine spaziale e temporale. La famiglia è sempre sacra, sia quella a soggetto religioso situata nel tempietto sia quell’altra, terrena, che vive nei campi, tra animali, lenzuola e drappi stesi sul filo; l’una accanto all’altra, mescolate o distinte solo da particolari iconografici in un apparente sovvertimento di ruoli con uguali valori estetici e concettuali. Ordine e nitore, irrinunciabili assieme al rigore compositivo e alla coerenza con il proprio essere, attuano una condizione intima ricettiva degli indizi che conducono alla meta su percorsi gradevoli di forme e colori evocanti immagini sedimentate nella coscienza individuale, quella dei ricordi di suggestioni favolose costituitesi sul filo dell’immaginazione dell’età incantata dell’infanzia.
L’affermazione atemporale, astorica, quella che unisce passato e presente, forse anche il futuro, è l’unione dei riferimenti che, anziché determinare sovrapposizioni e complicazioni, effettua uno snellimento ottenuto con l’equazione, molti annullamenti per assorbimento reciproco dei dati, in pratica il luogo ideale, cristallizzato e perpetuato sul perfetto equilibrio di ciò che è, o che è stato, e ciò che vorremmo che fosse all’infinito e in eterno. È una sorta di minimalismo culturale che conserva l’essenza della saggezza e della conoscenza, un esempio di vita e di ideali. Così una mamma anonima o la Madonna, entrambe col bambino, sono la stessa idea di maternità, di dedizione e amore che il tempo non muta e non scalfisce; la sacra Famiglia equivale alla famiglia attuale, comune, e a quella arcadica. Persino le fogge degli abbigliamenti inglobano e annullano epoche stilistiche riunendo nella stessa immagine tunichette e nudità, ciabatte e piedi scalzi, aureole e cappelli di paglia, abiti francescani senza indicazioni di mode e acconciature addicenti alle situazioni semplici di mezzo secolo fa. Tranquillità e pace nelle scene profane hanno la stessa devozione delle preghiere delle immagini a tema religioso, mentre cielo e terra sono uniti e comunicanti attraverso i loro figli comuni: gli angeli-bambini, i cui giochi preferiti sono il canto e la musica che allietano il mondo del quadro. Bimbi, puttini, cherubini, insieme, in un unico nucleo, della stessa famiglia, volano o salgono scale a pioli, si innalzano, raccolgono frutti rossi, maturi, dolci, ma qui i personaggi paiono non avere necessità di cibo materiale, se non i più piccini che sono intenti a succhiare il latte al seno. Sono personaggi che hanno tempo da dedicare agli affetti, anzi il tempo è loro amico e siadegua a qualsiasi necessità, aspetta senza pressioni. Essi si dedicano incondizionatamente ai più piccoli, elevandoli all’interesse prioritario. L’opera dell’uomo fa riferimento ad un’estetica classica limitandosi a qualche resto archeologico, qualche colonna, arco o capitello caduto a terra, come ad indicare i resti di una conoscenza passata, mentre le abitazioni in uso sono semplici, come il paesaggio circostante.
I colori sono quelli di una natura incontaminata e felice che dona e riceve, quasi sempre brillanti, nitidi, puliti, i colori delle stagioni migliori, non una alla volta, ma, anche in questo senso, la sintesi del meglio di tutte. E la vita familiare si svolge all’aperto anche sotto le abbondanti nevicate, seppure rare rispetto alla totalità delle realizzazioni, opere in cui il candore della neve sostituisce e copre i prati smeraldini, mentre i personaggi imbacuccati rallentano le loro attività e si stringono intorno a potenziare il calore; tuttavia, la natura all’aperto è il loro focolare domestico, il loro salotto, luogo di incontro e compagnia.
Talvolta, certe progettazioni formali dell’opera tradiscono la spontanea innocenza delle composizioni con taluni impianti in cui elementi, apparentemente di secondo piano, sono, invece, determinanti sia nella strutturazione che nel risultato del dipinto. Per esempio, quando le pareti uniformi o il pavimento monocromo sono interrotti da un deciso taglio di luce, geometrico come la porta o la finestra e la stessa apertura che lo genera e, in questo caso, l’ingenuità è arricchita da una nota metafisica, quasi contrapposta e in contrasto con i cirri sospesi dentro le loro volute baroccheggianti all’orizzonte di un cielo azzurro.
Una visione globale d’insieme delle opere realizzate nel corso dei decenni non evidenzia sostanziali mutamenti iconografici, compositivi, linguistici; solo evoluzioni sui dettagli, l’attenzione ai particolari attraverso una filologia straordinaria ed una coerenza unica con se stesso e il proprio sentire. Altrettanto eccezionale è il gusto coloristico di Jan Knap, l’uso di una gamma cromatica ricca e brillante, l’impiego di toni più spenti, mai cupi, nei controluce, rinnegano la sua origine mitteleuropea e lo trasferiscono culturalmente in climi europei più ampi fino a lambire, in certe soluzioni, spiccate esperienze mediterranee.
In buona sostanza, la bellezza è da ricercare nella semplicità e nell’immediatezza, condizioni atte a comunicare l’affetto dei sentimenti elementari, come già aveva intuito il Domenichino agli inizi del ‘600 ed aveva indicato in modo particolare ed esplicito nelle figure in primo piano dei santi. Ritornano in Knap i lineamenti classicheggianti, gli ovali perfetti, gli sguardi e le espressioni dolci, che risalgono ad epoche ancora più antecedenti e fanno pensare agli incarnati eterei e ai profili quattrocenteschi del Crivelli, maestro ideale dei Preraffaelliti. Nelle opere dell’artista ceco, anche dell’eleganza è rimasta la sintesi, l’idea e persino le memorie sono sottoposte a spoliazione.
Quella attuale è una società complicata che, per contro e per elevare lo spirito, ha bisogno di immagini dirette e immediate, non povere, ma riassunti contenenti ifondamenti più preziosi e sfrondati della classicità, gli elementi formali e cromatici della memoria e dell’esperienza individuale, la capacità di aderire alla contemporaneità senza cedere alle tentazioni delle mode in atto.