Gestire la cultura dopo la pandemia


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Ormai giunti alle porte dell’apertura di una nuova fase della gestione emergenziale derivata dalla pandemia di Coronavirus, siamo tutti consapevoli del fatto che molti aspetti, comportamenti e abitudini dovranno cambiare e adattarsi alle nuove esigenze e al nuovo scenario.

I trasporti pubblici, i luoghi di lavoro, di studio, di svago e addirittura di culto dovranno rivedere la gestione dei flussi e delle presenze e coerentemente, come cittadini, avremo maggiori responsabilità nell’acquisire nuovi strumenti per difendere noi stessi e la collettività da situazioni simili a quella che, pare, stia rientrando in un alveo di gestibilità.

Da tutto questo non fugge la cultura, divenuta protagonista di un intenso e diffuso dibattito sul “post emergenza” e sulle nuove dinamiche di gestione e fruizione.

Museo Nazionale di Capodimonte

La prospettiva di contingentamenti delle presenze al fine di evitare eccessivi assembramenti, oltre che di un lungo periodo di incertezza che conseguentemente dovrebbe portare ad una minore propensione alla fruizione di prodotti culturali (in arene, teatri, cinema, musei, spazi espositivi e aree archeologiche) porta i professionisti del settore ad un sentimento ambivalente che da un lato fa affiorare profonde preoccupazioni e dall’altro apre uno spiraglio sulle eventuali opportunità che questa “nuova era” potrebbe portare in termini di sviluppo e crescita attraverso mezzi e modalità nuovi.

Suggestioni e pareri si susseguono numerosi, ma è necessario prima di tutto chiarire il fatto che non è possibile individuare un singolo percorso valido per la totalità del “mondo della cultura”. Infiniti fattori e specificità rendono indispensabile un pensiero ampio e duttile che sappia mettere a valore le peculiarità che derivano sia dalla disciplina che si va a toccare, sia dal grado di valorizzazione e conoscenza del bene culturale di cui stiamo parlando: se per un teatro le esigenze e le soluzioni saranno differenti rispetto a quelle di un museo, allo stesso modo un grande teatro dovrà agire diversamente da uno di dimensioni ridotte e magari di un centro di provincia. Stessa cosa per i musei: dai nazionali che negli ultimi anni hanno macinato record su record di introiti e bigliettazione, ai civici con un pubblico limitato.

Questioni facilmente intuibili, ma non scontate non solo per la necessità di un ampio ventaglio di alternative sistematizzate e istituzionalizzate, ma anche per una effettiva frammentazione del variegato tessuto culturale nazionale.

Grande approvazione sembra avere l’impiego via via più massiccio della tecnologia a supporto della fruizione, oltre che una sempre maggiore virtualizzazione della stessa attraverso strumenti vieppiù raffinati che consentano il consumo culturale da remoto. Ottica interessante e stimolante che, nel caso della didattica, può avere vantaggi enormi e dare opportunità a livello formativo ed esperienziale prima d’ora inimmaginabili, ma a pensare di sostituire la presenza fisica con quella virtuale il rischio di cadere rovinosamente in uno spreco di risorse inedito è dietro l’angolo. L’esperienza culturale, che sia la visita ad un museo, una mostra, assistere ad un concerto o ad una rappresentazione teatrale è un qualcosa che coinvolge totalmente il fruitore: vista, udito, olfatto, tatto; osservare un’opera pittorica da remoto, per quanto la definizione dell’immagine possa essere precisa e definita, non restituirà mai quella miscela della percezione visiva delle profondità, dei mutamenti percettivi dati dalla nostra presenza, il profumo che spesso continua ad emanare la materia pittorica, il tempo che lo spostamento da una posizione all’altra concede una riflessione raccolta e una visione di insieme che, spesso, è un punto di forza di allestimenti museali permanenti e temporanei.

La fruizione culturale, possiamo affermare, è per lo spirito, ma necessita del coinvolgimento del corpo nella sua totalità.

La tecnologia può e deve entrare nel processo di elaborazione e realizzazione dei processi culturali (in questo caso relativi al “consumo”), ma deve accompagnare, non sostituire la presenza del fruitore; cosa va ripensato sono le modalità e i luoghi. Se da un lato bisogna evitare eccessivi assembramenti, dall’altro si deve anche trovare una soluzione che coniughi promozione e sostenibilità.

In quest’ottica un ruolo fondamentale potrà averlo il tessuto economico-sociale, ma solo con il supporto delle istituzioni pubbliche che dovranno necessariamente, con coraggio e importanti incentivi fiscali, aprire a interazioni che agevolino l’investimento dei privati nel settore culturale, non solo pubblico, ma anche privato, con un coordinamento nazionale che detti la linea “politica”, ma lasci massima libertà di iniziativa in modo da stimolare progetti che valorizzino il patrimonio culturale, consentano un ampliamento delle opportunità di fruizione e aprano anche a opportunità economiche rilevanti.

La sfida è cruciale e un Paese come il nostro non può declinarla: si faccia sistema e si guardi avanti.

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Informazioni su Anselmo Villata

Caporedattore dell'Agenzia Stampa Verso l'Arte, Vice Presidente Internazionale dell'Associazione Internazionale dei Critici d'Arte, Docente presso la 24Ore Business School e presso la Giunti Academy, Curatore, Critico d'Arte, Saggista, Cultural manager e Cultural planner orientato alla promozione e alla valorizzazione dei Beni Culturali con un'ottica all'interdisciplinarità e alle collaborazioni internazionali.