Francis Bacon


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Anche Dublino ha il suo santuario dell’arte in onore di un illustre cittadino: Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992) che ha costituito presso la Galleria Civica The Hugh Lane.

In una posizione centrale alla Galleria, strategica sul percorso, è posto l’atelier del Maestro, donato nel 1998 dall’amico e ultimo compagno John Edward, smontato da Reece Mews a Londra dove egli visse e lavorò dal 1961, ricostruito qui esattamente nei dettagli e aperto al pubblico nel 2001. L’immagine della mente di Bacon, direbbero gli psicologi, dove regna il caos in procinto, sembrerebbe, di esplodere; uno spazio esasperatamente limitato, uno scrigno, una cella di reclusione, una camicia di forza e, dunque, l’ambiente perfetto per coltivare la follia, creato per agevolare la manifestazione della rabbia, della furia, dell’idea generata da un’interiorità controversa. Tele cominciate e non finite; barattoli da cui fuoriesce e cola abbondantemente il colore; pennelli di ogni foggia e misura inzuppati in pigmenti ormai seccati; foto, schizzi, stracci, carte, giornali, libri e, ancora, cassette, scatole, tavolozze, nella confusione totale, evidenziata dai colori colanti “lanciati” sulle pareti e sulle porte, così come in alcuni casi faceva sulle tele. Eppure è lo stesso ambiente dove egli creava le opere, con quell’incalzare frenetico di immagini che affioravano nella mente.

L’atlier di Francis Bacon ricostruito presso la City Gallery The Hugh Lane di Dublino

La complessa arte di Francis Bacon, definito “artista maledetto”, spazia dai primi autoritratti alle foto rimaneggiate, alle ultime opere alle quali amputava un’area, possibilmente in corrispondenza della testa delle mostruose figure antropomorfe, ad un’abbondante raccolta di documenti, appunti, lettere, taccuini dell’archivio, anch’esso donato assieme allo studio.

Tenuto conto dell’influenza esercitata dagli eventi e dalle esperienze della vita privata, le irrisolte contraddizioni di ogni genere, i violenti contrasti con il padre, la vita sregolata e le sue tendenze omosessuali, l’adeguamento a qualsiasi mestiere per sopravvivere, in questa mostra si intende ricongiungere i vari bandoli di una matassa aggrovigliata e rendere retta una linea irregolare per avere, finalmente, una ricostruzione filologica dell’evoluzione tecnica e artistica di un geniale fuoriserie, a prescindere dai piccanti o gustosi aneddoti.

L’aveva confessato egli stesso e i documenti lo confermano; la scintilla in lui è stata accesa dal “Ritratto di Papa Innocenzo X” di Velázquez, soggetto che riprese più volte. Tra i documenti e le carte sparse nello studio ci sono libri, fotografie, stralci di giornali sui quali compare la riproduzione di quest’opera “rivisitata” e deformata da Bacon. La figura del Papa gli piaceva particolarmente e dipinse anche alcune tele con questo soggetto. Nelle opere più recenti, ci sono anche ritratti di altri papi: due di Giovanni XXIII e una di Giovanni Paolo II.

Ciò che confermò le sue attitudini artistiche fu la visita alla mostra di Picasso presso la Galleria di Paul Rosenberg di Parigi, dove rimase incantato e decise definitivamente che la strada che doveva percorrere poteva essere solo quella dell’arte. Le opere di quel periodo, infatti, sono cubiste, se pur con evidente carisma espressionista nell’impianto formale e cromatico. Tale particolarità gli era congenita, apparteneva alle sue radici naturali, istintive e ciò chiarisce la sua passione per i maggiori esponenti di quel genere. Una predisposizione che lo attirava verso i mondi delle tenebre, delle emozioni violente, delle situazioni fosche, del pessimismo, del male e lo trascinavano nel masochismo. Egli amava Grünewald, Max Ernst, Munch ed anche Van Gogh, per esempio. A tutti gli elementi forti che già sono contenuti nelle opere di questi artisti, egli aggiunse una potenza espressiva che sale dagli inferi dell’anima, incontenibile, che porta alla vita i mostri malefici dell’inconscio. E lo dichiarò anche a parole: “Ciò che mi interessa è cogliere nell’aspetto esteriore degli individui la morte che lavora dentro di loro. Ogni secondo un po’ della loro vita se ne va. E questo è un fatto”.

Dunque, nelle figure asimmetriche, nei ritratti, negli autoritratti si esprime la giusta sintesi calcolata dal rapporto tra realtà, che è apparenza, e inconscio, dove risiede la verità di ognuno.

Secondo le sue intenzioni, l’immagine che deriva dalle elaborazioni deve colpire violentemente chi osserva: “Vorrei che i miei quadri apparissero come se un essere umano fosse passato su di essi”. In effetti, ciò avveniva prima della conclusione dell’opera, della concretizzazione dell’immagine ed egli stesso instaurava una lotta intima, mentale, col suo soggetto e quando lo esprimeva era già deturpato. Secondo la sua convinzione, alla crocifissione di Gesù segue senza scampo quella degli uomini, di tutti gli uomini, i quali, di fronte a cotanto inesorabile disfacimento, sono tutti uguali. Il contrasto assume evidenze più potenti in questo spirito, quando si aggiunge la presunzione e a trasformarsi in presenze spettrali sono coloro che nella vita sociale occupano posti al di sopra delle persone comuni come, appunto, i papi, gli uomini di potere, i ricchi. Ciò che fuoriesce dalla loro anima, o la loro stessa anima, è spaventoso e mette a confronto, risaltandone il contrasto, tracotanza, prepotenza a fronte dell’impotenza al cospetto dell’operazione inclemente del destino fisico dell’uomo.

In questo concetto risiede l’essenza della strutturazione formale dell’opera legata ad una figurazione che diventa “defigurazione”, in cui il disfacimento dell’immagine, che trabocca dai contorni stabiliti dalla consuetudine della realtà visiva, si traduce in deformazioni che manifestano una profonda paura, ma anche sadismo. Sentimento che, sì, nasce dal profondo, ma è generato dal mistero dell’effetto che avrà sulla mutazione genetica l’azione coercitiva dell’ambiente e dell’incoscienza/cattiveria delle persone. E Bacon ne ha subita tanta violenza. Nella loro evoluzione, o involuzione, le figure subiscono una radicale metamorfosi fino a diventare macchie galleggianti nel vuoto. Eccole: le anime.

Materie, materiali, strumenti di lavoro, vengono sottoposti, come l’immagine, ad azioni violente. La creazione è traumatica quanto il risultato: “Non c’è tensione in un quadro, se non c’è lotta con l’oggetto”. Dalla sua lotta con gli oggetti e dal suo scontro con gli animi derivano creature macabre disciolte, ambigue ed affascinanti, che più del loro corpo mostrano il loro “urlo”, capace di riecheggiare all’infinito dentro spazi e atmosfere prive di aria. Certi metodi e modi creativi sono sintomatici, come l’uso della tela dalla parte grezza anziché della faccia preparata; la stesura, o graffiatura, del pigmento con il pettine; le sprezzature, le macchie schizzate; il lancio dei colori e l’ottenimento di forme casuali, sanguinanti, di matrice diversa da quella dell’Action Painting; l’asportazione di un’area dipinta che infierisce sul sadismo prima ancora che dar vita alla curiosità per il mistero del tassello mancante; la manipolazione e la deturpazione di immagini preesistenti; gli strappi e le ricomposizioni modificate e distorte delle fotografie. A ciò si aggiunge l’impiego di colori a tinte forti, contrastanti, simboliche, come arancione, rosso profondo, viola acido, quasi a sublimare l’orrore, l’angoscia, la sua stessa ossessione, la malinconia determinata dalla consapevolezza della caducità che diventa disperazione.

Ma, se da un lato la sua aspirazione, la sua vanità, era quella di sedurre gli osservatori con il sottile fascino del macabro, dall’altro lato, ed ancora una volta affiora la contraddizione, conosceva l’effetto “respingente” delle sue immagini e si giustificava così: “Ho sempre aspirato ad esprimermi nel modo più diretto e più crudo possibile e, forse, se una cosa viene trasmessa direttamente, la gente la trova orripilante, perché, se dici qualcosa in modo molto diretto ad una persona, questa a volte si offende, anche se quello che hai detto è un fatto. Perché la gente tende ad essere offesa dai fatti, o da quella che una volta era chiamata verità”.

Di più. Con una manifestazione enfatica del piacere del male, della sofferenza, del terrore, quindi la volontà di aumentarne i valori e il soddisfacimento delle tendenze sadiche e masochiste che, però, in Francis Bacon hanno trovato la quiete dell’Arte.

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