Esattamente così, suonando il violino, Riccardo Licata (Torino, 1929 – Venezia, 2014) ha manifestato e confermato le sue inclinazioni artistiche, facendo suoi i brani musicali che più lo coinvolgevano per sentirsi creatore e comunicatore di emozioni. Essendo, per un certo verso, figlio d’arte, la sua era una famiglia di amanti dell’arte e della musica (il nonno materno fu tra i primi banchieri torinesi a finanziare film), egli accoglie in eredità e coltiva l’innata passione per la musica servendosi, dapprima, proprio di quello strumento dal suono nobile, penetrante, capace di ipnotizzare ogni più minuscola cellula. Esecutore, interprete ed anche assiduo frequentatore di concerti di musica classica e contemporanea, la sua passione lo spinge a riformulare i dati assunti attraverso i suoni e a restituirli in una veste visiva: la pittura. Diviene compositore; di opere, però, la cui partitura vibra, invece che tramite onde sonore, nel silenzio della contemplazione determinata dall’interazione tra segni, colori e pigmenti. Cambiano anche gli strumenti; i nuovi, pennelli, matite, tele, carte, tubetti e lattine di colore, fanno fluire dalla sua mente e materializzare con la mano il susseguirsi ordinato di note pittoriche per la composizione di complete armonie cromatiche.
Licata è demiurgo del microcosmo di ogni sua opera d’arte, la quale, tuttavia, rifiuta la condizione unica di prolungamento della personalità del proprio autore e tende a ricostituire una comunione nella società, ma non una massificazione; un’azione di coesione interindividuale collettiva che non sia un’utopia ideologica, quanto invece un mezzo di comunicazione universale liberato dalla trascendenza della rappresentazione figurativa cosmica.
Nell’attività di tutta la sua vita, Riccardo Licata è rimasto soprattutto fedele a se stesso e, nel contempo, partecipe arrivo della cultura e del progresso; ha rispettato e soddisfatto pienamente nel tempo quegli irrinunciabili e fondamentali stimoli naturali che sono la curiosità, l’entusiasmo, il coinvolgimento totale in tutte le loro forme e occasioni, con immutata lucidità nel momento dell’espressione dei propri concetti artistici.
L’arte di Licata ha avuto uno svolgimento coerente che implica serietà ed equilibrio, assieme ad una apertura mentale incondizionata atta a praticare una piena libertà nella ricerca, nello studio, nella creatività e a mantenere la razionalità e l’obiettività nelle proprie scelte.
Licata ha rivolto i suoi interessi anche ai materiali, essi stessi soggetti vivi e vibranti partecipi costruttori di un’opera. E, per usare la musica come metafora della pittura, i diversi materiali usati costituiscono un’orchestra che interpreta le composizioni in cui ritmi e armonie sono scanditi dalle evoluzioni segniche e cromatiche. Così, come la musica non è ripetitiva pur usando sempre lo stesso pentagramma e le stesse sette note, le opere di Licata sono ogni volta nuove creature che si avvalgono di certi segni ricorrenti i quali, assieme alla versatilità cromatica, producono un’icona inedita pur esprimendosi con lo stesso linguaggio. Va riconosciuta a Licata una sorta di vocazione a realizzare grandi opere, anzi, importanti cicli costituiti da più opere, ognuna delle quali autonoma e indipendente dal gruppo e insieme componenti una unitarietà globale. È già così nel 1954, quando concorre per la realizzazione dei mosaici destinati al palazzo allora sede dell’Anas; arriva al primo e al secondo posto, così acquisisce per intero il compito di abbellire e arricchire quell’edificio. Esegue in totale nove mosaici di dimensioni monumentali che si sviluppano su sette piani interni e sono interrotti dai pianerottoli della scala, più due sui soffitti modulati delle ali laterali dell’ingresso. Nonostante l’iconografia ancora figurativa è già evidente l’ordine ritmato che governa lo spazio e il tempo e determina un equilibrio formale ed espressivo assieme ad una sensazione di nitore ed eleganza globale.
Altro esempio di cicli di opere è quello composta da settantuno opere intitolate “Parigi 1996. I rami”, per le quali si può notare, con la concessione di un gioco di parole, la “consueta inconsuetudine” del lavoro dell’artista, il suo rifuggire la noia, gli schemi, le abitudini, i meccanismi, l’appiattimento, sia per quanto riguarda il materiale e sia per le diverse forme geometriche, regolari e irregolari, dei supporti stessi. Il rame, duttile e lucido, si presta ad operazioni artistiche più complesse che uniscono pittura, disegno, incisione, modellazione.
Sono dei due anni successivi le ottanta opere componenti il gruppo “Dall’Amor pungente all’Amor di gloria”, realizzate per il riarredo dell’appartamento di Isabella d’Este a Palazzo Ducale di Mantova. Caso in cui l’ispirazione e la libertà espressiva si sono avvalse di più tecniche e materiali, quindi della pittura, intesa in senso tradizionale, su tele di grandi dimensioni e pigmenti vari; delle sculture: bidimensionali quelle in bronzo e tridimensionali quelle nei diversi tipi di marmo; dei mosaici, realizzati con tessere di pasta di vetro, marmi e graniti, nei quali la convivenza di zone opache e zone lucide, superfici solide e segni trasparenti, tonalità neutre, naturalmente poetiche, e colori brillanti producono un effetto magico ed un invito a far uso anche del tatto per una completa e fruizione.
Segue, in ordine cronologico, la realizzazione di un altro nucleo di opere; questa volta sono sculture in legno di grandi dimensioni e colorate, pensate e progettate per il riarredo del giardino del castello di Rinco, in Monferrato. Ma anche le grandi vetrate realizzate in Francia ed esposte a Chartres; il ciclo di “Re Artù”, sculture in vetro di Murano; le terrecotte policrome riunite in “Ostrakon” per il Museo Egizio di Torino; i gouaches di “Stemperando”. Da non dimenticare i suoi taccuini di viaggio, prodotti ininterrottamente nel tempo, di varie fogge e formati, delle più rare e preziose carte, carichi di energie emotive concentrate sulle pagine acquarellate, conseguiti principalmente da momenti gioiosi, particolarmente intensi di esperienze nei rapporti umani.
Nel lavoro di Licata non esiste la distinzione tra Arte e arti minori o arti applicate; significato attribuito a quelle opere, o manufatti, realizzate con materiali non convenzionali, diversi dal dipinto su tela o dalla scultura in marmo o in bronzo. La ceramica, il vetro, il tessuto sono generalmente impiegati per oggetti di arredo, di produzione industriale o dozzinale, rispecchianti il gusto di mode correnti e temporali e, invece, per Licata il materiale è una opportunità ulteriore e il risultato è sempre un’opera d’arte che, secondo la natura del materiale stesso con cui è realizzata, acquista carattere e sensualità, aumenta e diversifica il proprio lirismo.
Nella realizzazione di opere in bronzo, la plasticità e la malleabilità della materia preparatoria assorbono coralmente l’impeto creativo della mente e i movimenti spontanei delle mani operose. Il segno è plasmato dai gesti, direttamente con le dita, spesso unici strumenti; spessori, volumi, scansioni, rilievi, avvallamenti sostituiscono il colore, diventano elementi primari, determinano profondità e prospettiva avvalendosi delle qualità stesse del metallo lucidato o patinato o entrambe le rifiniture insieme.
Anche le sculture in legno sono personaggi. Ognuna è come una nota solitaria sfuggita al pentagramma che, ingigantendo le proprie proporzioni, diventa protagonista del suo mondo e, con lo sviluppo ascensionale, unisce la terra al cielo, l’uomo al suo spirito; allo stesso modo delle architetture gotiche, nette, pulite, verticali, producono armonie fisiche ed impercettibilmente sonore nel modellare l’aria intorno. In alcuni casi la scultura è incorporea, in negativo, ricavata dal vuoto di una superficie e lì dentro la vita dell’opera è reale; il frammento di universo contenuto assume i lineamenti e la forma stabilite dall’artista: è un nuovo microcosmo dotato di tutte le caratteristiche essenziali dello spazio e del tempo, a volte sottolineate dal volume ottenuto con la sovrapposizione di piani e di figure.
L’arazzo, antica passione di Licata, trova nella fibra tessile una ulteriore sensualità infiltrata negli intrecci dei fili, il cui succedersi genera una epidermide calda e morbida, che cattura e trattiene la luce. Dalle trame intense sorgono immagini potenti che si rincorrono, si incrociano, si configurano entro gli spazi illimitati, perché indefiniti, dove tutto è armonia ed equilibrio e non sono ammessi primi e secondi piani, centralità o figura secondaria. Il segno bidimensionale è tracciato e modulato con i fili colorati che dalle diverse tonalità ottengono volume e spessori virtuali, sospensioni di corpi e persino trasparenze.
Nel campo dei filati e dei tessuti si collocano anche i ricami per i quali Licata ha sperimentato lino, seta, cotone, lana, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. La lavorazione di simili opere prevede l’intervento vento diretto dell’artista che esegue il disegno sul tessuto con matite colorate. La loro eccezionalità sta proprio nel risultato, perché le immagini rimangono disegni che si arricchiscono di matericità e lucentezza, mentre conservano la massima fedeltà all’idea originaria, a quella che, visto il procedimento, si può considerare sinopia.
A differenza dei mosaici giovanili, quelli successivi sono composti con tessere di pasta di vetro e marmi spaccati, che determinano una superficie irregolare, non levigata. Su di esse l’azione della luce, naturale o artificiale, incontra il terreno idoneo ad attuare le sue proprietà. L’unione di materiali tanto diversi nella sostanza e per natura tra loro, anche se la morfologia indica il comune contenuto di silicati, porta al continuo e contestuale assorbimento, riflesso, rifrazione dei raggi e fasci luminosi; questi colpiscono o sfiorano la materia, penetrano nella porosità delle pietre o attraversano le trasparenze cristalline, giocando sull’incostanza del percorso accidentato, non liscio.
Il vetro è un altro materiale che esercita un forte fascino sulla passione creatrice di Licata, le cui opere, siano dipinte o modellate, superfici o volumi, propongono soluzioni estetiche carismatiche sia per l’essenza stessa del segno grafico contenuto che per la proiezione nello spazio di immagini mutevoli. La zona di incontro tra luce e trasparenza della superficie vitrea si trasforma in un gioco caleidoscopico che interagisce con le forme e i colori appartenenti all’opera d’arte. Licata studia la fluidità della traiettoria del raggio luminoso, lo governa e lo guida su, attraverso e intorno le sue forme, creando intermittenza di luci e ombre capace di modificare la realtà del proprio ambiente. Le cromie usate sui vetri sono generalmente briose, brillanti, fluorescenti, a volte arricchite con l’oro e questa materia, incorporea e fisica nello stesso tempo, trasparente, liscia al tatto, con superfici modellate in forme addolcite e non spigolose, escludono la staticità ed esaltano le dinamiche perpetue dell’universo. Certi frammenti di vetro colorato aggiunti nelle opere, interrompono la continuità e la regolarità del rapporto tra il pigmento e il suo supporto trasparente; la semitrasparenza del vetro colorato accentua il timbro cromatico e l’importanza del segno e della forma, determinando una fusione omogenea dei diversi elementi da cui consegue il sorgere di meccanismi che alimentano i ritmi compositivi e formali, maggiormente significativi e interessanti, oltre che pienamente espressi, sulle vetrate.
Particolarmente interessanti sono le opere grafiche di Licata, che nutre per il materiale carta un amore singolare. Da sempre egli si dedica a questa tecnica, in tutte le sue varianti e numerose sfaccettature, specialmente quando vengono impiegate preziose carte a mano, o quando la lavorazione prevede l’uso di materiali da apporre manualmente su ogni singolo foglio come, ad esempio, quelle ad affresco, con la sabbia, o quelle con compressioni calcografiche, oppure altre acquerellata a pochoir.
Dai tradizionali pennelli e pigmenti di varia natura, alle cere per modellare gioielli, di cui esistono esemplari particolarmente preziosi per il loro intenso e miniaturizzato contenuto artistico completo, al gesso per formatori, al caolino, al legno, al vetro, ai tessuti, ai filati, la gamma è infinita di materiali, naturali o artificiali, da impiegare con la stessa passione che è quanto realmente attribuisce nobiltà al risultato finale.
Per Licata è importante mantenere spontaneità, immediatezza, calma e serenità nella progettazione dell’opera, nell’organizzazione degli spazi, nell’articolare l’impaginazione, nel definire la struttura, nel determinare le soluzioni e gli accostamenti cromatici. Il suo segno è unico perché, per divenire simbolo, racchiude l’essenza del significato del soggetto, che a volte può apparire come la cristallizzazione degli elementi catturati, ma solo se si considerano questi elementi come la molecola significante, nel senso in cui solo Licata la intende e la esprime.
Segni mutanti e mutevoli, simboli di movimenti dell’aria, siano essi determinati dallo spostamento ritmico della bacchetta del direttore d’orchestra o dell’oscillazione di una foglia al vento, oppure dalla trasmissione di energie, sentimenti, emozioni, le quali ultime, però, influiscono maggiormente sui colori.
Riccardo Licata ha sempre creduto nel perpetuarsi della vita dell’Arte, in quanto esperienza delle capacità creative dell’uomo, perché ha sempre saputo dare ad essa il suo contributo attivo, la sonda nei suoi aspetti più remoti, a scoprirne le ricchezze e le peculiarità, stabilendo con essa una simbiosi indissolubile.