Riconosciuto dalla storia dell’arte contemporanea tra i maggiori esponenti in ambito internazionale, Rafael Canogar (Toledo, Spagna, 1935) ha guadagnato la meritata posizione con un assiduo lavoro di ricerca pittorica che lo rende orgoglioso del suo operato prima ancora del risultato, inteso come gratificazione umana, mentre la sua tensione personale è aperta al processo evolutivo e la vera condizione appagante è la consapevolezza di poter ricreare all’infinito un futuro che ad ogni nuova conquista diventa subito passato. È così da sempre, fin da quando poco più che ventenne è tra i fondatori del gruppo El Paso e conferma la precoce maturità culturale, rendendosi paladino di un necessario e impellente rinnovamento estetico verso una modernità dinamica libera da qualsiasi pressione politica, sociale o accademica. Una vocazione, un progetto di vita, una missione contemporaneamente a cui, si può dire oggi a fatti avvenuti, è rimasto fedele e lo è tuttora con lo stesso vigore degli anni giovanili, con le stesse speranze, gli stessi desideri e la stessa convinzione che nell’esistenza naturale e intellettuale nulla è concluso e definitivo ed ogni obiettivo raggiunto è il nuovo punto di partenza verso altre conquiste, per consentire e contribuire al progresso culturale dell’umanità. Infatti, personalmente e intimamente, è un continuo interrogarsi per poter offrire delle risposte al prossimo e l’ininterrotto impegno di ricercatore gli è valso il titolo di Accademico di Spagna, onorificenza conferitagli per meriti artistici dalla Real Academia de Bellas Artes de San Femando di Madrid.
Pensando a Canogar, nella completezza della sua maestria e quotidianità, prima di parlare di arte, secondo il suo sentire è opportuno considerare la pittura; sostantivo che nel gergo convenzionale può avere valore corruttibile, mentre nell’ideale è l’effetto pratico del pensiero. La riflessione è meno banale di quanto possa apparire quando viene applicata ad un’idea generale, poiché l’arte non è la conseguenza scontata della pittura (o di altre discipline), mentre quest’ultima è uno dei più alti mezzi espressivi se sa diventare mie e perciò non va deviata. È egli stesso ad affermare che la pittura gli è “necessità vitale impellente” e con la pittura intende “dare delle risposte” anziché porre dei quesiti. Un metodo comunicativo e mediatico insostituibile da qualsiasi altro e, quindi, realmente e profondamente linguaggio, diretto a tutti, allorché tutti vogliano predisporsi alla partecipazione e all’ascolto dei silenzi pittorici.
Una delle risposte che possono derivare da tali riflessioni e che, per effetto di un percorso inverso, da questa si risale al quesito, potrebbe essere che la pittura diventa la codificazione del pensiero; ne segue che la domanda iniziale è “che cos’è la pittura?”
Invece, agli interrogativi su in che cosa consiste o dovrebbe essere l’arte nella contemporaneità, prescindendo dall’accezione e dall’etimologia del termine, Rafael Canogar risponde con il personale impegno di circa settant’anni di dedizione alla ricerca estetica, spesso con risvolti etici e suggestioni politiche, correlando la creatività con le riflessioni sull’essenza naturale ed intellettiva e fornendo indizi a tappe progressive lungo tutta la sua avventura artistica, assolutamente non disgiungibile dalla sua vita e dal suo stesso modo di essere. Utopia e astrazione sembrano in taluni frangenti contaminare l’aspetto ideale, laddove il confine tra pensiero e desiderio diventa labile, mentre il momento plastico riconduce alla realtà. È in questo che si confermano la ferrea convinzione e la coerenza del proprio sentire e intendere l’arte, quale capacità dell’uomo tra le più alte e raffinate. Sia per inclinazione naturale che per scelta consapevole, egli non transige sul rigore e sulla riflessione applicati al processo espressivo e della ricerca, proiettati in una razionalità teorica che non rinuncia agli elementi primari della pittura, ossia forma e colore per una concezione del quadro con implicita attenzione alla materia e all’ordine sperimentati in rinnovate, inesauribili combinazioni.
Per questo, nel corso della sua avventura artistica Canogar ricorre a varie forme iconografiche, che rispondono alle sempre diverse esigenze espressive e comunicative che si evolvono e mutano, mantenendo fede, soprattutto e innanzitutto, all’attività del pensiero dell’artista in ogni occasione, epoca, situazione socio-culturale. Su simile puntualizzazione, è stato notato che si ha la sensazione di avere di fronte le pitture, anziché la pittura, di Canogar. In realtà tutta la produzione è percorsa da un ininterrotto filo logico, marcato da sequenze progressive articolate lungo un costante processo di trasformazione. Nulla è rinnegato, ma il passato è passato e il presente è già futuro; così le opere, che nella loro evoluzione suggeriscono una rottura con tutto ciò che è stato, con quanto esperito, per un divenire senza soste parallelamente alla personale crescita intellettuale e umana.
Rafael Canogar ha sempre prestato attenzione alle avanguardie, ai rinnovamenti culturali e storici, senza lasciarsi condizionare e senza adeguarsi a qualsiasi richiesta di mode di mercato.
I suoi inizi artistici, collocabili negli ultimi anni Quaranta, lo vedono già determinato nella ricerca e individuazione della propria personalità espressiva, docile e saggio nell’apprendere e nel distinguersi nel clima culturale spagnolo non facile dell’epoca. Gli studi accademici sono importanti e gli consentono di impadronirsi della tecnica, così pure le esperienze dei Maestri diretti o quelli storici risultano essere insegnamenti importanti, ma la principale fonte di apprendimento è la Natura con tutti i suoi elementi e le molteplici declinazioni spaziali e temporali, quella che è realmente e non quella che percepiamo con l’inganno dei sensi. Dal suo equilibrio perfetto impara che la bellezza si basa sulle giuste proporzioni delle forme, delle prospettive e della luce che su esse agisce. Immediatamente deduce che gli strumenti a disposizione dell’uomo, per un retto fare, sono l’intelligenza, la riflessione, il calcolo, che diventano il sostrato della sua pittura fin dalle immagini figurative nelle quali, a ben guardare, si percepiscono gli embrioni degli sviluppi successivi.
Il passaggio seguente è quasi naturale, conseguito dall’esperienza reale che determina il disincanto nei confronti del rapporto tra pittura e realtà introducendo nella magia dell’informale, il mistero della dilatazione di frammenti fantastici di un mondo sommerso. È il momento scatenante della passione per i pigmenti e i colori, ma l’iconografia non si discosta così tanto dal periodo precedente, solo che le pennellate di materia colorata anziché procedere su percorsi definenti preconcetti, costruiscono immagini nuove e sconosciute alle abitudini quotidiane, a volte con forti accenti evocativi sull’immaginario. Negli anni Sessanta tanta passione creativa esige una sorta di organizzazione della libertà gestuale e ideale. Il magma materico è regolato in forme quasi geometriche entro un’architettura dell’opera. Sono geometrie indefinite che richiamano profili di forme naturali, addolciti dal mistero generato dall’immaginazione che supera e va oltre la forma reale, quella percepibile sensorialmente. È la penetrazione dell’essenza dell’universo e dei suoi componenti che suscita in Canogar l’esigenza di scendere nelle profondità della coscienza sociale. Ciò che porta in superficie, con la pittura, è una nuova figurazione, un realismo personale, in cui l’uomo è al centro della sua attenzione; ma è un uomo frammentato, a brandelli, presentato anche come “natura morta”, inconsueta, fatta di falangi e mani recise, raccolte come spazzatura, in un mucchio disordinato dentro una pozza di sangue. Caso in cui il Maestro madrileno introduce nella sua attività metodi e materiali plastici per lui nuovi, come il poliestere e i volumi. Di questo decennio sono altrettanto inquietanti le scene urbane in cui si muovono folle metalliche, senza volto, figure anonime amanti dell’ombra più che della luce; una sorta di richiamo della coscienza e l’ammissione del concetto di libertà incarcerata.
Ritorna l’ordine architettato nella seconda metà degli anni Settanta, quando le opere sono strutturate con geometrie euclidee e il rigore compositivo si potenzia nella definizione spaziale. Compaiono i collages, con i quali Canogar ottiene sovrapposizioni e intersecazioni di aree per uno studio dello spazio, anzi degli spazi e la loro interrelazione con cui conferma il governo dei sentimenti e la riabilitazione del razionalismo, quindi il controllo dell’inclinazione passionale con la riflessione e la ragione.
Nelle opere degli anni Ottanta i colori e la materia sono distribuiti sulla superficie con pennelli e spatole che seguono gesti precisi, guidati logicamente e intenzioni consapevoli con accenni ad un figurativismo scomposto, misterico, evocativo. Affermazione e negazione della forma concorrono e si uniscono dando luogo ad una immagine informale fatta di elementi, dove predomina il profilo della testa umana, un richiamo all’impiego dell’intelligenza e della ragione, ma dove si evidenzia una particolare attenzione all’uso e alla funzione cromatica.
Sul finire degli anni Ottanta e all’inizio del decennio successivo, la gestualità, gli spessori materici, il grumo magmatico fanno da sfondo e coprono totalmente la superficie dell’opera, mentre esce in primo piano il segno, ancora come gesto libero, che acquista importanza nelle linee curve sopra la realizzazione plastica più simile ad un bassorilievo ottenuto con i pigmenti piuttosto che ad un dipinto. Si ha la percezione di una duplice valenza, di un quadro nel quadro, un’icona sopra un’altra icona, non un ripensamento ma l’immagine nell’immagine che avviene per sovrapposizione, come nei collages. La relazione tra spazio e luce sfocia spesso in monocromie pluritonali che, ancora una volta, confermano l’infinità dei valori e delle combinazioni, naturali e creative. Sono tipiche degli anni Novanta le geometrie materiche, i muri, e la carta a mano. La materia è importante e così pure il modo di governarla, circoscrivendola in ogni dimensione piana e volumetrica. In queste opere si riconoscono frammenti di simboli sociali (“Muro di Berlino” del 1993 o “Casa dei misteri” del 1997) nelle quali anche il colore è un simbolo eloquente; ad esempio, il grigio in diverse tonalità del muro di Berlino, in cui è insito il carattere mitteleuropeo, la tristezza, la luce che sfiora la superficie e lì si ferma, mentre il rosso contiene la passione del mistero, bello o brutto, che in quella casa si verifica ed è potenziata dalle bordature nere per un maggiore contrasto cromatico ed emotivo.
Attraverso le esperienze e le ricerche succedutesi sui vari fronti lungo tutto il percorso artistico, Rafael Canogar affronta il nuovo secolo all’insegna dell’essenzialità e del raziocinio. Alla sovrapposizione di piani e sottili superfici colorate, si aggiungono altri materiali, come l’alluminio, il plexiglas, il piombo quali elementi disturbatori che tentano la scomposizione dell’ordine e dell’equilibrio perfetto delle geometrie; invece arricchiscono le opere con arricciature e frammentazioni delle superfici e aggiungono passione all’incisività dell’idea che diventa corpo. Titoli, quale “Babele”, sono indicativi e significativi del tentativo di scompigliare l’ordine e ritornare al caos originale, di far vacillare la razionalità, di sperimentare l’interazione tra casualità dell’istinto ed equilibrio della ragione. Prevale la seconda condizione, organizzata in quadrati e rettangoli, mai cerchi od altre figure geometriche, in spazi definiti e destinati fuori da ogni equivoco. In sostanza, non è prevista la sorpresa portata dalla fatalità; anche quando essa pare intromettersi, in realtà è tutto progettato, quindi i quattro elementi plumbei, collocati sui bordi di “Trueno”, oppure i due ordinati specularmente di “Taur”, appartengono all’architettura originale e non al dettaglio della finitura, poiché costituiscono la potenza espressiva di quell’idea. Accostamenti, intersecazioni, sovrapposizioni di geometrie piane, ma anche l’uso di spessori grumosi, materici e forme più irregolari, come in “Piedra”, si alternano a dare un senso al soggetto citato dal titolo, spesso astratto come “Caratteristica”, in cui gli spazi cromatici sono ben definiti e perfetti, o “Sfida”, dove avvengono rimandi, scontri e prevaricazioni tra le forme di colore. Appartengono a questo periodo anche le sculture nelle quali sono impiegate, invece, geometrie tondeggianti e meno spigolose, anche se inscritte in un quadrato, piane, lisce, levigate e accorpate in una unica opera, a significare l’essenzializzazione di una realtà complessa, come traccia efficacemente “Capeza”.
Tele, legni, carte, pigmenti, materiali classici e di nuova generazione, formano un unico mezzo con cui condurre ricerche e ricavare esperienze per le sue proposizioni eticoestetiche capaci di dichiarare la verità sull’attualità dei tempi con la consapevolezza della tradizione storica, che a volte pesa e a volte aiuta. Ma soprattutto soddisfare l’impellenza di mantenere una viva comunicazione con il mondo con la pittura, ossia la sua passione e il suo scopo primario.