Colui che ha edotto razionalmente l’estetica cinetica dalle precedenti esperienze avanguardistiche ibridamente empiriche, per la varietà di fronti di provenienza e istintività di deduzione, è Francisco Sobrino (Guadalajara, Spagna, 1932 – Francia, 2014) fin dagli esordi del movimento e della ricerca.
Attento osservatore, meticoloso calcolatore, profondo meditatore, l’allora giovane artista aveva intuito i valori dei nuovi orizzonti a cui poteva condurre l’evolversi delle indicazioni proposte dai Maestri di riferimento, in particolare Fontana e Vasarely, ma non sapeva ancora di precedere di alcuni decenni i più tardi sviluppi informatici. Condizione profetica, la sua, rispetto alla società, alla tecnologia, alla scienza, che si afferma nell’interazione tra sensibilità e raziocinio, ovvero nella capacità di attribuire i giusti valori ai diversi elementi, intesi in termini quantitativi, qualitativi, dimensionali, proporzionali.
La mente di Sobrino, come un prisma accentra e assorbe i fasci di dati provenienti da ogni direzione, li elabora e li rilascia perfettamente organizzati all’interno di una sintesi creativa rigorosa regolata dal calcolo tra rapporti fisici e intimi.
Nella cospicua produzione della fine degli anni Cinquanta, già si riscontra il paradigma stilistico, il lessema che stabilisce la struttura non delle singole opere, quanto l’indirizzo della ricerca e le radici degli sviluppi successivi. Si tratta di opere eseguite ancora con tecniche e materiali tradizionali; sono principalmente dipinti a tempera su carta, in una successione ritmata e frenetica, inarrestabile, in cui si avverte un’opulenza creativa che, invece di esaurirsi con l’esecuzione di un’opera, si incrementa, per il forte desiderio comunicativo, in una rigenerata fluidità di pensiero e necessità espressiva, arricchita dai calcoli. Ora, a posteriori, vi si possono intuire le tensioni di Sobrino e l’anticipo creativo concentrato su forme e colori, arricchito, poi, dai materiali più disparati, naturali e sintetici, dalle sovrapposizioni di piani e dai volumi reali. Geometrie semplici ed un ampia gamma cromatica interagiscono su una superficie piana e si avvalgono di una ritmata successione di contrasti; formali, con predilezione di accostamenti tondi/quadrilateri e reticolati; coloristici, con la convivenza di rossi, blu, verdi, tutti intensi o, al limite del contrasto, bianco e nero. Sono opere che all’epoca della realizzazione suscitavano sorpresa, al pari di una scoperta scientifica stupefacente ed incomprensibile, in un pubblico che dall’opera d’arte era abituato a ricevere immagini più dirette, che aveva appena un po’ metabolizzato lo sconvolgente futurismo e che ancora si perdeva nei misteri dell’astrattismo e dell’informale. Sembrava qui bandita ogni scintilla emotiva, soppiantata dal rigore del calcolo e da una strutturazione ingegneristico-architettonica che però, e al massimo, concedeva una possibilità di partecipazione ludica nella percezione. Solo ora, con la maturità storica, si può quantificare quanto fossero in anticipo sul progresso sociale e delle ricerche scientifiche, fisiche, biologiche.
Inqueste tempere, la pittura, anziché coprire la superficie, apre uno spazio sconfinato su un universo in cui vibra la vita sottile degli atomi, delle cellule, dei cromosomi fino a quella tecnologicamente avanzata degli elementi informatici, affrontando l’illimitatezza delle combinazioni e delle alternanze, assieme alle regole della modularità. E dell’universo naturale adottano la struttura matematica dell’equilibrio spaziale, formale, temporale, luministico.
La creatività di Sobrino, frutto del meccanismo prismatico dell’attività del suo pensiero, si configura in due tempi principali che si contrappongono e si attraggono; due momenti tra loro magnetici e inscindibili, dei quali lo slancio emotivo rappresenta la commossa partecipazione all’esistenza del creato nella totalità, anziché la folgorazione di un attimo, il “colpo di fulmine”, ossia è una continua ed ininterrotta meditazione unita allo stupore, invece che un istante di ispirazione. A ciò succede la stessa continuità esplorativa, l’approfondimento del vissuto, la penetrazione dei valori e il tutto viene riconsegnato alla visione con immagini dai colori trasformati in codici alfanumerici. Generalmente, e si capisce perché, quasi sempre le tempere della fine degli anni Cinquanta inizio Sessanta sono “Senza titolo” e la loro importanza è riposta in ciò che rappresentano nella storia dell’arte del Novecento, oltre che nella felice stagione creativa di Sobrino stesso. Inesse è la matrice dell’arte cinetica. La bidimensionalità della pittura sfora, anche se virtualmente, dall’area piana e propone spazi volumetrici non più dati da una altrettanto virtuale prospettiva e, invece, dai colori e dalle forme. L’aspetto interessante è quello che riguarda la tanto ricercata quarta dimensione nell’opera d’arte, riconosciuta successivamente dal cinetismo nel movimento, che in queste tempere è anticipato ed espresso pienamente nelle sue peculiarità pre-meccaniche. La pluricentricità delle immagini è una condizione strutturale legata a tale caratteristica, così pure le differenze dimensionali degli elementi che non sono più legate alla costituzione della prospettiva, quindi del volume dato dalla profondità e l’indicazione della terza dimensione, ma è diretta al movimento, all’instabilità percettiva, alla quarta dimensione. Scompaiono i primi e i secondi piani; ogni punto visivo è il centro. Non ci sono più elementi primari ed altri di supporto, ma grandi e piccole forme; non luci ed ombre, ma colori e contrasti che possono agire in modo nuovo sulla retina e sulla psicologia dell’osservazione. A volte è un caleidoscopio fatto di colori primari puri, prodotto da un grande prisma che equipartisce in aree definite i fasci luminosi. Oppure è un microcosmo esaminato da un potente microscopio. Inaltri casi è una rete di Hartmann che indica e trattiene i magnetismi cosmici od anche il reticolato terrestre, ilcui rigonfiamento allude allo zenit dell’opera e fa scivolare lo sguardo su polarità laterali o dietro la pittura, ma non dietro l’opera, come se tra le due materie si fosse formata una intercapedine. Sono anche universi, galassie di astri e pianeti galleggianti ordinatamente in uno spazio senza gravità, dove il calcolo e l’equilibrio cromatico confermano i rapporti tra gli elementi. La disposizione delle geometrie colorate tracciano forme, mutevoli alla percezione, per cui l’immagine si delinea dentro un’altra immagine ed un’altra ancora all’infinito: la forma nella forma, la successione, la modularità, la ripetizione, la graduale variabilità dimensionale e tonale di geometrie colorate della stessa forma, la loro posizione, il loro orientamento, definiscono l’immagine al posto del tracciato, del segno, di una architettura fatta di incroci e percorsi lineari.
Poiché il colore è luce, essa è anche il soggetto principale, il mezzo, il fine, che stabilisce gli stessi valori di spazio, tempo, moto, agendo sulla superficie, distorcendo l’immagine attraverso la suggestione di ondulazioni, contrazioni, dilatazioni che si animano nelle specularità, nelle fughe, nei ritorni.
Il largo spettro cromatico nelle tempere di Sobrino sa aprirsi all’infinito e colpire altrettanti punti sulla superficie che diventano circoscritte zone colorate. Per contro, sa toccare i due estremi opposti, osservando la teoria dei colori; da un lato ottiene il bianco con la proporzionale partecipazione di tutti i colori, che indica anche la luce perfetta, quella solare; da un altro lato, viceversa e con le stesse regole, raggiunge l’esatto contrario, l’assenza cromatica, il nero. Insieme, i due opposti si attraggono in un contrasto suggestivo che consente il verificarsi di misteriose velature e trasparenze nelle intersezioni, nei piccoli spazi che separano-uniscono positivo e negativo, generando altri elementi, altre immagini, altre visioni. Dalla teoria dei colori delle tempere ai codici alfanumerici che trovano la loro applicazione nel linguaggio informatico. Campo che Sobrino ha esplorato negli ultimi anni di lavoro realizzando opere digitali; teorie che gli appartengono per natura fin dall’inizio della sua attività artistica e, poi, per esperienza conquistata, vale a dire per ipotesi e tesi. Aveva visto giusto nel riporre la logica della sua creatività nella scomposizione infinitesimale atomica e codificata di ogni elemento: più i valori sono minuscoli, più essi saranno numerosi negli insiemi e più l’immagine sarà precisa e definita.