Fino al 2 giugno, a Siena, negli spazi di Santa Maria della Scala è aperta la mostra dedicata a Sergio Vacchi, promossa dal Comune di Siena con la collaborazione della Fondazione Sergio Vacchi e curata da Marco Meneguzzi, che ha come obiettivo quello di presentare la produzione di circa cinquanta anni del pittore emiliano che ha scelto il Castello di Grotti, nelle colline senesi, come buen retiro per gli ultimi dodici anni della sua vita.
In mostra sono
esposte trentacinque opere tra le più significative della sua produzione,
alcune delle quali inedite, che conducono lo spettatore all’interno di un mondo
visionario, ma allo stesso tempo profetico, sul destino dell’essere umano. La
sua ricerca ha spaziato soprattutto nel campo della profezia sulle sorti future
dell’umanità in rapporto al pianeta: visioni cupe e desolate, ma non prive di
ironia, mescolate a una simbologia contemporanea tutta da interpretare.
Sergio Vacchi (1925 -2016), senza seguire studi regolari si accosta
inizialmente ad una pittura influenzata dal post cubismo e da Picasso. Dopo un
breve periodo in cui tenta di recuperare, come lui stesso afferma, la lezione
di Cézanne, dipingendo boschi, paesaggi e scene di vita emiliana, alla fine
degli anni Cinquanta si avvicina, per qualche anno, all’informale. La svolta
stilistica si compie nel 1959 quando si trasferisce a Roma, dove la sua
pittura, benché ancora informale si va sempre di più accostando a quella figuratività
che è propria del suo operare. I suoi maestri diventano i grandi artisti
europei come Marx Ernst, Otto Dix, Bacon, De Chirico, e la sua pittura risente
fortemente dell’espressionismo nato nel vecchio continente ma caratterizzata da
una capacità compositiva e descrittiva originalissima, e da una pittura di
grande e grandissimo formato, secondo una personale e suggestiva concezione del
mondo che lo circondava.
Per Siena, dove si era trasferito negli ultimi decenni della sua vita, il
curatore Marco Meneguzzo ha pensato a costruire negli spazi del Santa Maria
della Scala, una sorta di “galleria” fitta di tele grandissime, quasi che
l’artista avesse dipinto i muri e le volte del palazzo alla maniera degli
antichi maestri, cui evidentemente si rifaceva.
La mostra è corredata da un catalogo edito da Silvana Editoriale che contribuisce alla riscoperta di una delle maggiori figure della pittura italiana contemporanea, grazie anche a uno scritto di Eike Schmidt, direttore della Gallerie degli Uffizi, oltre al saggio del curatore.