Al Castello di Rivoli (TO) Museo d’Arte Contemporanea è esposta, fino al 19 gennaio 2020, la prima retrospettiva europea dedicata all’artista statunitense della diaspora ebraica-irachena Michael Rakowitz (Great Neck, NY, 1973, vive e lavora a Chicago), vincitore del prestigioso Nasher Prize 2020, annunciato il 5 settembre scorso.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Whitechapel Gallery di Londra, è curata da Carolyn Christov-Bakargiev e Iwona Blazwick insieme ai curatori delle rispettive istituzioni Marianna Vecellio per il Castello di Rivoli e Habda Rashid per la Whitechapel Gallery.
La mostra è concomitante con la grande scultura pubblica Lamassu, 2018, il toro alato assiro dal volto umano realizzato dall’artista per il progetto ‘Fourth Plinth’ collocato attualmente a Trafalgar Square a Londra e visibile fino a marzo 2020.
Rakowitz crea sculture, disegni, installazioni, video, nonché progetti collaborativi e performativi.
La mostra presenta in anteprima le più importanti opere realizzate dall’artista in oltre vent’anni di attività ispirate all’architettura, all’archeologia, alla cucina e alla geopolitica dall’antichità a oggi. Le opere narrano le grandi trasformazioni storiche causate da guerre e altri traumi, denunciando le contraddizioni della globalizzazione.
La mostra inizia con paraSITE (paraSITO, 1997–in corso), rifugi provvisori gonfiabili per i senzatetto delle grandi metropoli americane, progettati dall’artista, tenendo conto delle esigenze e della personalità di ciascun individuo. Il percorso prosegue con Dull Roar (Boato sordo, 2005), una grande installazione architettonica che riproduce un edificio del complesso abitativo americano Pruitt-Igoe di St. Louis nel Missouri.
Per realizzare l’opera White man got no dreaming (L’uomo bianco non ha sogni, 2008), l’artista ha coinvolto gran parte degli abitanti appartenenti alla comunità indigena aborigena del quartiere The Block a Redfern, Sydney (Australia) in occasione della Biennale di Sydney del 2008.
L’accostamento poetico tra due distruzioni lontane tra loro dal punto di vista della geografia e della storia è la cifra dell’installazione What dust will rise? (Quale polvere sorgerà?, 2012), realizzata utilizzando la pietra di travertino estratta nella valle di Bamiyan, Afghanistan.
The flesh is yours, the bones are ours (La carne è tua, le ossa sono nostre, 2015) rende omaggio alla maestria degli artigiani armeni che durante l’Impero Ottomano hanno decorato le facciate dei palazzi di Istanbul e che hanno patito pesanti persecuzioni e l’esilio all’inizio del ventesimo secolo.
Questa opera è stata acquisita dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT per le Collezioni del Castello di Rivoli.
Per il progetto The invisible enemy should not exist (Il nemico invisibile non dovrebbe esistere, 2007-in corso), l’artista lavora da anni attraverso una pratica scultorea in papier maché ricavato da giornali arabo-inglesi con l’obiettivo di ricreare repliche a grandezza naturale di tutti i 15.000 manufatti culturali andati persi – trafugati o distrutti – durante la seconda guerra del Golfo, anche chiamata guerra in Iraq (2003-2011).
In mostra è infine presentato il video The Ballad of Special Ops Cody (La ballata dell’agente speciale Cody, 2017) realizzato con la tecnica dell’animazione stop-motion. L’opera, parte delle collezioni del Castello di Rivoli, vede una bambola giocattolo in dialogo con le statuette votive mesopotamiche conservate all’Istituto Orientale dell’Università di Chicago.
In occasione della mostra è stato pubblicato da Silvana Editoriale un catalogo scientifico contenente i saggi di Carolyn Christov-Bakargiev, Habda Rashid, Nora Razian, Ella Shohat e Marianna Vecellio e un’intervista all’artista di Iwona Blazwick. Il volume include inoltre un’esauriente cronologia espositiva e un’antologia con testi e interviste.