Negli spazi dell’Appartamento del Doge e della Cappella Dogale di Palazzo Ducale di Genova, fino al 1 marzo 2020 è esposta una mostra che propone una panoramica sull’arte degli anni venti in Italia che furono anni complessi, tanto ruggenti e sfavillanti quanto inquieti, cruciali di passaggio tra la Grande Guerra e la crisi mondiale del decennio successivo.
Questa mostra intende offrire uno sguardo originale sul decennio, mettendone in luce non tanto gli aspetti esteriori del glamour, nei quali si incarnarono il desiderio di evasione e di appagamento sensoriale, quanto piuttosto i lati più oscuri, inquieti e irrazionali.
Sono esposte oltre 100 opere, tra pittura e scultura, che provengono da
importanti collezioni pubbliche, tra le quali quelle della Galleria Nazionale
di Roma, della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, di Palazzo
Pitti a Firenze, del MART di Rovereto, dell’Istituto Matteucci di Viareggio, della
Fondazione Il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, della Collezione
Giuseppe Iannaccone di Milano e di altrettanto importanti collezioni private.
La mostra, curata da Matteo Fochessati e Gianni Franzone,
presenta le opere di Carlo Carrà, Felice Casorati, Galileo
Chini, Giorgio de Chirico, Fortunato Depero, Achille
Funi, Virgilio Guidi, Alberto Martini, Arturo Martini, Fausto
Pirandello, Enrico Prampolini, Alberto Savinio, Scipione, Gino Severini, Mario
Sironi, Adolfo Wildt.
Il percorso è articolato in undici capitoli: a partire dalla sezione Volti del tempo, un vero e
proprio spaccato della società dell’epoca, da cui emerge quella “moderna
classicità” che connotò le esperienze stilistiche del Novecento e del Realismo
Magico.
La modernità di Severini, Casorati, Oppi e Arturo Martini appare differente da
quella promossa dall’avanguardia futurista: una modernità in cui passato e
presente convergono, creando una stretta connessione tra tradizione e
rinnovamento, ma che diventa anche espressione di uno spaesato distacco dalla
realtà quotidiana, come nelle opere di Carrà, Guidi, Donghi e Ferrazzi, o di
nostalgia per un passato mitico e ideale, come nel caso di Funi e Sironi.
Il racconto di quegli anni non tralascia di documentare il senso di alienazione
e le visioni distopiche prodotti dalle angosciose distorsioni della modernità,
come reso evidente dalle opere di Sexto Canegallo, e di mettere pure in risalto
l’affermazione dell’autonomia e dell’indipendenza della figura femminile,
scaturita nata dal suo inedito ruolo sociale durante la Grande Guerra.
L’ultimo capitolo è dedicato infine all’altro, meraviglioso, volto degli anni
venti: quello più noto del gusto déco, come fondamentale espressione di un
prepotente desiderio di eleganza, lusso ed edonismo.