Una grande e interessante mostra retrospettiva è dedicata all’artista fiammingo Koen Vanmechelen (1965) a Mendrisio, Svizzera, che tocca i temi della scienza, dell’arte, della natura, del regno animale e molto altro.
La mostra, aperta fino al 2 febbraio 2020, è realizzata
a cura di Didi Bozzini ed è promossa dalla Fondazione Teatro dell’architettura,
che è anche sede dell’esposizione.
Lungo il percorso espositivo, allestito all’esterno e nei tre piani
del Teatro dell’architettura Mendrisio dell’Università della Svizzera
italiana, progettato dall’architetto Mario Botta, ci si trova davanti
ad un campo di grano delimitato e alle mani di un gigante che offrono semi e
proteggono un pulcino, ai colori accesi di una pittura informale e a un
ponderoso volume contenente l’infinita serie costituita da miliardi di cifre e
lettere con la quale si trascrive il genoma di una gallina.
L’arte di Koen Vanmechelen è al tempo stesso espressione di un’estetica della meraviglia e di un’etica fondata sul valore della vita, dalle prime sculture in legno degli anni ’80, allo sviluppo di un vasto programma di ricerca mirato alla generazione di nuove razze avicole, fino alla recente creazione di Labiomista, un formidabile parco della biodiversità dove coabitano installazioni, opere e volatili delle specie più diverse.
Koen
Vanmechelen ha imperniato il proprio lavoro sulla relazione tra natura e
cultura cercando, attraverso la propria arte, di comprendere e dare risposta
alle grandi sfide del XXI secolo.
In mostra sono esposti oltre sessantacinque lavori, realizzati tra il 1982 ed
il 2019, che raccontano l’articolato percorso artistico mettendo in evidenza
gli aspetti più prettamente plastici dell’opera dell’artista, con un’attenzione
particolare al suo carattere neo-barocco.
Scultore, pittore, performer, videoartista, studioso, oltre che attivista dei
diritti umani, in un percorso lungo quasi quarant’anni Vanmechelen ha
affiancato progetti di ibridazione di animali o vegetali alla contaminazione
delle arti figurative, dei materiali e degli strumenti espressivi, facendo
della proliferazione formale nella complessità concettuale la cifra di una
poetica tanto singolare quanto inconfondibile.
Vanmechelen concepisce l’arte come prassi di re-invenzione della natura, porta
di accesso privilegiata ai suoi segreti e presupposto della sua salvaguardia.
E, simmetricamente, si rivolge alla scienza, quasi fosse una branca della
poesia, chiedendole di materializzare in modo pressoché magico le visioni del
suo fantasticare.