“I mondi di Riccardo Gualino. Collezionista e imprenditore” riunisce nelle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino fino al 3 novembre prossimo, la collezione appartenuta a Riccardo Gualino in una mostra realizzata a cura di Anna Maria Bava e Giorgina Bertolino, presentando un importante nucleo di opere conservate alla Galleria Sabauda di Torino e alla Banca d’Italia di Roma, insieme a dipinti, sculture, arredi e fotografie provenienti da musei e istituzioni torinesi e nazionali, raccolte private e archivi, primo fra i quali l’Archivio Centrale dello Stato.
La mostra punta sull’intreccio tra vita e visione artistica, indirizzo che Gualino stesso ha sostenuto e raccontato nell’autobiografia del 1931 e delinea la figura del collezionista imprenditore e mecenate nella sua interezza, attraverso dipinti e sculture, oltre a reperti, arredi e raccolte suntuarie, corredati da immagini d’epoca e da un ricco apparato biografico e documentario.
Nei diciotto ambienti
delle Sale Chiablese, le opere sono accostate a partire dalle fonti storiche o
allestite in spazi che rinviano a quelli originali: le sale del Castello di
Cereseto Monferrato, sua prima residenza in stile neogotico, la palazzina di
via Galliari a Torino, l’ufficio all’ultimo piano del palazzo di corso
Vittorio. Sono accompagnate da fotografie e immagini che raccontano i mondi di
Riccardo Gualino e di sua moglie Cesarina Gurgo Salice, le case in cui abitano,
il milieu cosmopolita che frequentano, il clima di un’epoca ruggente. Alcune
documentano i modernissimi stabilimenti che Gualino ha fondato nei settori del
legname e del cemento, della seta artificiale e del cioccolato. Al successo di
aziende come la Snia Viscosa e la Unica, corrisponde, fra il 1920 e il 1930,
l’apice della collezione, con le acquisizioni di opere come la “Madonna in
trono” di Duccio da Buoninsegna, la “Venere” di Botticelli, “Venere e Marte” di
Veronese, la “Négresse” di Édouard Manet, il “Paesaggio campestre” di Claude
Monet e del nucleo orientale, con il Buddha in meditazione del XIII-XIV secolo,
rilucente nella sua lacca dorata. In questo periodo, i Gualino si fanno
ritrarre da Felice Casorati, nelle pose auliche dei signori rinascimentali,
assumendo nella vita reale il ruolo di mecenati, sostenitori dei giovani
artisti, e in particolare dei Sei Pittori di Torino, della danza d’avanguardia
e del teatro, con l’apertura, nel 1925, di una sala privata nella loro
residenza e poi del Teatro di Torino.
La stagione splendida s’infrange con la crisi delle aziende del gruppo, il
crack, la condanna dell’imprenditore e finanziere al confino, voluta da
Mussolini in persona nel 1931. La collezione è concessa per sanare i debiti con
lo Stato: una parte entra alla Pinacoteca Sabauda, l’altra in Banca d’Italia.
Scontata la pena, Riccardo Gualino inizia una nuova vita a Roma. Riprende
l’attività imprenditoriale, con la Rumianca e la Lux Film, la casa di produzione
di Riso amaro di De Santis e di Senso di Visconti. Nella capitale, dove vivrà
per trent’anni, perduta la prima favolosa collezione, ne inizia una seconda, di
nuovo ricchissima. Il dialogo tra passato e presente si rinnova, come
suggeriscono in mostra la giovane “Clelia” dipinta da Felice Casorati nel 1937
e la trecentesca scultura con Santa Caterina del Maestro della Santa Caterina
Gualino che proprio da lei prende il nome, una delle opere ora riscoperte, tra
le molte disperse dal 1931.