A Palazzo Buontalenti di Pistoia, fino al 25 agosto è esposta la mostra “Italia Moderna 1945 – 1975. Dalla Ricostruzione alla Contestazione”, realizzata a cura di Marco Meneguzzo, che presenta una selezione di oltre centocinquanta opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo e fin dal titolo un problema di indagine critica con l’intenzione di mostrare il complesso tessuto artistico italiano in uno dei periodi di trasformazione del Paese tra i più fecondi. Suddivisa in due sezioni, “Le macerie e la speranza” (fino al 25 agosto) e “Il benessere e la crisi” (che aprirà il 13 settembre fino al 17 novembre), la mostra indaga il concetto di modernità nelle sue diverse accezioni: da una parte il senso comune, per cui il “moderno” è ciò che risulta nuovo, veloce, innaturale e lontano dalle consuetudini; dall’altra la Modernità (stavolta con l’iniziale maiuscola) ben precisata storicamente e concettualmente, che si manifesta come un’idea di progetto, includendo in sé la convinzione di poter essere i protagonisti del proprio futuro. Così, la Modernità del XX secolo comprende quel periodo in cui i popoli, le culture, le nazioni, ma anche i singoli individui, vivono sulla base di grandi ideali e grandi valori.
È tra il 1945 e i successivi trent’anni, dopo una guerra che ha lasciato non solo macerie materiali, ma anche culturali, che l’Italia cambia i comportamenti sociali, modernizzandosi visibilmente e affrontando, dopo la straordinaria anticipazione del Futurismo, il problema della Modernità. Nella prima parte della mostra, Le macerie e la speranza, si affronta il periodo dal ’45 al ’60. Attraverso le opere di artisti tra i quali Enrico Baj, Mario Nigro, Giulio Turcato, Renato Guttuso e Antonio Recalcati, si ripercorre la fase subito successiva alla guerra, in cui si sente il bisogno di trovare nuovi modelli cui appellarsi, per esprimere quell’ansia di rinnovamento che percorre tutto il mondo.
Gli anni Cinquanta sono invece caratterizzati su scala planetaria da quello che in Italia è noto come l’Informale, alfabeto visivo che utilizza solo elementi basilari, primari, come il segno, il gesto, la materia.
Andando oltre la mera scelta cronologica degli artisti, tra cui Carla Accardi, Afro, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Bruno Munari, Emilio Vedova e Giuseppe Capogrossi, e la loro suddivisione per movimenti, la mostra arriva a chiedersi se esista una sorta di continuum in grado di identificare una cultura unitaria, presupponendo quindi un vero e proprio modello italiano.