A Palazzo dei Diamanti di Ferrara, fino al 2 giugno è aperta la mostra “Corpi splendenti” che raggruppa le opere di Henri Foucault, scultore e fotografo francese e realizzata a cura di Dominique Païni.
Le opere di Foucault, si trovano, così, in dialogo con Boldini e la moda, l’esposizione dedicata al pittore ferrarese che è stato uno dei più celebri ritrattisti della Belle Époque. Il progetto rientra infatti nella programmazione della rassegna d’arte contemporanea Offside, ideata da Maria Luisa Pacelli, che mette in relazione il lavoro di artisti contemporanei con l’opera di maestri del passato per offrire uno sguardo attuale su temi e movimenti storicizzati.
Henri
Foucault riflette sulla luce e sulla relazione tra superficie e materia,
fondendo linguaggi espressivi diversi. Egli infatti interroga la scultura a
partire dal mezzo in apparenza ad essa più lontano: la fotografia. L’immagine
fotografica nasce quando la luce colpisce una superficie e, al contrario delle
arti plastiche, il supporto sul quale essa si fissa è quasi ininfluente. Ed è
proprio a partire dalla traccia luminosa che Foucault si dedica alla
ricostruzione del modellato, del volume.
Abolendo ogni intento aneddotico, l’artista si concentra sul suo soggetto
prediletto, il corpo femminile, che diviene una forma pura, una sorta di
planimetria che non ha nulla di decorativo. Solo in un secondo momento Foucault
interviene sul fotogramma e decora le immagini con materiali tratti dalla
couture, come cristalli Swarovski o punte di spillo.
I Corpi splendenti nascono, quindi, dal paziente lavoro con cui l’artista veste
con una miriade di frammenti scintillanti diafane silhouette femminili, che
diventano volume, materia. In contrasto con l’atto scultoreo per eccellenza –
la sottrazione –, Foucault dà forma all’atto fotografico grazie agli elementi
aggiunti alla pellicola: ciò che brilla e luccica crea volumi mutevoli,
variazioni cristalline, palpitazioni della carne rivelate grazie alla luce.
Il suo processo creativo ha una tangenza ideale con la pittura di Boldini,
impegnato anch’egli a plasmare le pose delle sue “divine” e a creare una
relazione dinamica con lo spazio e lo spettatore, attraverso la raffigurazione
di sete scintillanti, di vortici di colore, di vibranti pennellate in cui i
corpi sembrano scomparire.
Tra le opere in mostra a Ferrara, è presente anche una produzione originale ispirata ad un dipinto di Boldini esposto a Palazzo dei Diamanti, l’Amazzone (c. 1879-80, Milano, Galleria d’Arte Moderna), un quadro la cui composizione ha una valenza quasi fotografica, “congelata” rispetto ad altre opere del ferrarese in cui il movimento sembra essere inarrestabile. Ed è proprio questa fissità ad avvicinare il lavoro certosino di Foucault al turbolento pennello di Boldini: per entrambi in ultima analisi il corpo non ha più confini, liberato in un caso dalla luce, nell’altro dal movimento.