Fino al 16 giugno a Forlì, presso i Musei San Domenico è aperta al pubblico la mostra “Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini”, realizzata a cura di Fernando Mazzocca e Francesco Leone.
Questa mostra propone un confronto tra le esperienze dei
movimenti più sperimentali che, come i Macchiaioli e i Divisionisti, si sono
espressi come un’alternativa alla cultura figurativa dominante e la cosiddetta
arte “ufficiale” che è stata invece, nel bene e nel male, non solo un
formidabile strumento celebrativo e di propaganda, ma anche e soprattutto il
mezzo più efficace e popolare per fare
conoscere agli italiani i percorsi appassionanti e contradditori di una storia
antica e recente caratterizzata da aspirazioni e slanci comuni, ma anche da
drammatiche tensioni e divisioni. Per scoprire, fuori dallo spazio alienante
delle grandi città che le esigenze della modernità stavano cambiando
irrimediabilmente, i paesaggi intatti del “bel paese” caratterizzato da una
diversità che continuava ad attirare i viaggiatori stranieri. Per celebrare i
fasti della vita moderna, che verranno proiettati nel mito della Belle Époque.
Per denunciare infine la drammatica condizione delle classi subalterne e
rivelare le ingiustizie della società, attraverso la rappresentazione delle
sconfitte e dei sentimenti dei vinti, degli emarginati.
Attraverso una selezione di opere diventate iconiche, soprattutto quelle
presentate, premiate, acquistate dallo Stato e dagli enti pubblici, ma anche
oggetto di dibattito e di scandalo, alle grandi Esposizioni Nazionali, da
quella di Firenze del 1861 a quelle che tra Roma, Torino e Firenze (le tre
città che erano state capitali) hanno celebrato il cinquantenario dell’Unità,
le dieci sezioni della mostra ricostruiscono i percorsi dei diversi generi, da
quello storico, alla rappresentazione della vita moderna, dall’ arte di
denuncia sociale, al ritratto, al paesaggio.
In un racconto epico affidato soprattutto alle opere di grande formato, mai
movimentate prima, ci vengono incontro temi di impatto popolare e dal
significato universale risolti nel cortocircuito visivo di capolavori
indimenticabili. La varietà dei linguaggi con cui sono stati rappresentati
consentono di ripercorrere un periodo di grandi trasformazioni della visione,
dallo splendido tramonto del Romanticismo all’ affermazione del Purismo e del
Realismo, dall’Eclettismo storicista al Simbolismo, dalla “rivoluzione” dei
Macchiaioli alle sperimentazioni estreme dei Divisionisti. Sono qui presenti
pittori come Hayez, Domenico e Gerolamo Induno, Pompeo Molmenti, Faruffini,
Cesare Maccari, Muzzioli, Costa, Fattori, Signorini, Lega, Lojacono, Patini, De
Nittis, Boldini, Zandomenenghi, Corcos, Tito, Mancini, Previati, Morbelli,
Pellizza da Volpedo, Michetti, Segantini, Sartorio, Balla, Boccioni, e scultori
come Vela, Cecioni, Bazzaro, Butti, Monteverde, Gemito, Troubetzkoy, Bistolfi,
Canonica.
In un percorso coinvolgente la
scena muta continuamente attraverso i capolavori dell’ultimo dei Romantici, il
vecchio e glorioso Hayez, interprete degli slanci della giovinezza, di una
bellezza senza tempo e delle passioni del Medioevo, si passa alla potenza
visionaria del teatrale Otello di Molmenti, del finalmente visibile Valentino a
Capua di Previati, un immenso dipinto leggendario come le epiche battaglie
risorgimentali evocate dai lombardi Induno e Faruffini e dal meridionale
Cammarano, presente con un quadro entrato nell’ immaginario degli italiani come
la Breccia di Porta Pia. L’epica dei vinti, resa universale dal Signorini
dell’Alzaia e dalla dolorosa attualità degli Emigranti di Tommasi, appare
placarsi nella dolcezza di un quadro mitico e amatissimo come le Due madri e
nei solenni paesaggi alpini, come quello monumentale di Alla stanga, che fanno
di Segantini, celebrato da D’Annunzio, il genio che nei suoi occhi “umili e
degni” è riuscito a rendere l’ “infinita bellezza” della natura. Quella natura
che ci rivela il suo mistero in quello struggente capolavoro finale, misterioso
come certi versi del Pascoli simbolista, che è Lo specchio della vita di
Pellizza da Volpedo.