Il romanzo di Botto & Bruno. L’arte fra società, urbanistica ed etica


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Botto&Bruno con a sinistra Bernelli

Botto & Bruno, all’anagrafe Gianfanco Botto (1963) e Roberta Bruno (1966) sono una coppia molto affiatata nell’arte e nella vita: marito e moglie, ci dicono, fin da studenti, una ricerca sull’arte urbana attraverso la fotografia utilizzata solo per allestimenti in una sorta di ambient art dai forti connotati sociopolitici: società, urbanistica, etica paiono le tre parole-chiave per la loro visione del mondo e dell’arte. Oggi, caso più unico che raro, sono oggetto de Il biografo di Botto & Bruno (Editrice Il Primo Amore), un romanzo, da parte di un amico Silvio Bernelli, come loro torinese, che esordisce quindici anni fa con un altro romanzo, I ragazzi del mucchio, che autobiograficamente narra, con oggettiva precisione, la scena punk piemontese degli anni Ottanta-Novanta.

Nel caso però de Il biografo di Botto & Bruno la situazione è differente, come lo scrittore medesimo tende a precisare: “La storia di questo libro nasce dal fatto che noi te siamo amici, avevamo fatto una serie di cose insieme, ma ci eravamo incontrati di persona solo grazie al quotidiano L’Unità per un libro sulle periferie. Avevano pure riunito una rock band, chiamandola Botto & Bruno In The Family. Loro due mi avevano subito,incuriosito, per il fatto che vivono in simbiosi 24 ore al giorno e che rappresentano per Torino e l’Italia un’arte che riesce a portare istanze originali undergorund nella cultura mainstream”.

Ma prima di iniziare il libro su Botto & Bruno, Bernelli riflette sulla questione della scelta di una prospettiva autoriale: “Il punto è il biografo che non sono io, ma un personaggio letterario con nome e cognome. Quindi ho deciso di proposito di spostare il libro dalla biografia generica a una biografia molto romanzata. Voglio che il lettore sia stia chiedendo cosa stia leggendo se saggio o romanzo, ponendosi soprattutto una domanda, così come la faccio io a me stesso: Quale è il confine che oltrepasso?”.

Per scrivere il testo ovviamente Bernelli coinvolge la coppia di artisti, i quali svelano che:  “Ci siamo piacevolmente sorpresi e al contempo spaventati, perché in fondo siamo riservati; la nostra è una vita bizzarra, ma vissuta con normalità. Gli incontri con Silvio sono risultati proficui, perché ha spiegato in profondità il progetto e quindi ci siamo sentiti al sicuro: Silvio non poteva certo farci del male!!!”.

Per raccontare di Botto & Bruno, l’autore parte dal punto di vista del ‘come si diventa artisti’, tracciando, quindi una scaletta per poter riordinare i discorsi: “Doveva essere – puntualizza Bernelli – un libro che assomigliasse sia a me sia a loro. La scoperta della loro vocazione è uno dei temi del libro, assieme alla scoperta della vocazione del biografo”.

Il testo va altresì alla scoperta delle vicende di altre persone come Carola e Mario, molto vicini ai due artisti agli inizi della carriera: oggi Botto & Bruno risultano molto noti in Italia (e anche all’estero), ma c’è un periodo in cui i due faticano a sbarcare il lunario, nonostante gli attestati di stima a Torino sia della critica sia del pubblico. Al successo del ‘duo’ contribuiscono anche gli amici e nel libro risulta vincente l’idea di “Allargare sugli individui misteriosi e segreti che stanno dietro o vicino agli artisti quando ancora non sono famosi”.

Con il ‘biografo’ immaginario che frequenta l’Accademia Albertina si forma un piccolo trio dove il biografo è la spugna dei sentimenti, colui il quale raccoglie le confidenze dei due, per trasportarli su un piano letterario. Dopo il,p diploma le vite dei tre divergono: c’è quindi l’inevitabile allontanamento, con strade diverse per tutti: lui fa l’insegnante e poi li rincontra già inseriti nel panorama artistico contemporaneo.

E il testo oscilla tra due poli, come spiegano Botto & Bruno dopo la lettura del libro: “In esso c’è la realtà delle cose che abbiamo realizzato ma anche quelle che non sono successe ma che avremmo voluto che accadessero. Libro è un miscuglio di realtà e immaginazione. Noi ci siamo anche nelle cose inventate. L’importante è riconoscersi nella sostanza, un po’ come il nostro lavoro che parte dalla realtà per ricrearla o trasformarla”.

Dal canto suo Bernelli, ritiene che ciò che più debba rimanere dalla lettura del testo siano le emozioni, nel senso del ‘come si guarda un’opera’ di Botto & Bruno anche senza possederla. Nelle sue intenzioni resta “Un romanzo sulle cose che ci passano accanto, ma che dobbiamo saperle cogliere”.

Attraverso una letteratura nervosa, coinvolgente, secca, priva di orpelli, lo scrittore è consapevole, grazie all’invenzione del suo alter ego (il biografo) di tutti i modi in cui il protagonista mette in gioco la memoria, dal carillon alle scatole cinesi, perché questo libro sembra altresì una sorta di manuale su “Come ordinare i ricordi e come ordinare gli oggetti della vita, dal momento che si tratta di ricordi omdi oggetti che il biografo condivide con Botto & Bruno”.

In tal modo il libro rievoca un passato abbastanza recente, grosso modo da metà degli anni Ottanta a oggi, quando Botto & Bruno diventato attori di una cultura non dominante in una città, quale Torino aperta a mille sollecitazione, ma con diversi problemi; si tratta insomma della “ricostruzione minuziosa di un mondo che oggi è cambiato; purtroppo oggi degli Anni Ottanta si parla poco forse perché tutto è finito lì”.

Comunque l’idea di far raccontare ai due protagonisti la Storia della propria vita artistica (che viene più traslata da un personaggio fittizio) risulta importantissima anche quale nuovo modo di far critica, di cui sono perfettamente consapevoli i tre ‘attori’ di questa messinscena letteraria: “La cosa interessante è che si è aperto un mondo, quasi si trattasse di sedute psicanalitiche al registratore! Ma prima di far venire fuori qualcosa che gira per la testa ci si mette del tempo”.

Nel libro si può leggere tanta Torino, fra le righe, ovvero le vicende di una grande città in un ‘prima’ e in un ‘dopo’, soprattutto prima e dopo l’assegnazione dei Giochi olimpici invernali, non senza trascurare gli eventi importanti accaduti prima, oppure altri elementi-chiave come le ripercussioni della crisi persistente tra il 2008 e il 2016.

Botto e Bruno in tal senso documentano, attraverso le immagini, diversi scorci che oggi non esistono più, ossia paesaggio postindustriale distrutto da una sorta di neospeculazione edilizi che porta a erigere nuovi palazzi tutti uguali. Al proposito l’opinione dei due artisti resta eloquente: “Torino è una città durissima, a tratti anche cattiva a volte, che non ti concede nulla, ma che solo con il lavoro ci ha fatto capire che avremmo potuto certi risultati”.

E i risultati sono le opere di questa coppia che simboleggia gli abitanti della periferia, intesa sia come luogo fisico sia soprattutto quale dimensione spirituale, per presentare e rappresentare a fondo una vis poetica e una coscienza critica in grado di dare valore, visibilità, forza e dignità estetica al cosiddetto ‘brutto’, nobilitando la rovina sociale, il degrado architettonico, il rottame fisico-spirituale a opera d’arte. Per far ciò, attraverso il gioco delle sovrapposizioni, Botto & Bruno offrendo testimonianze estetiche che vanno dall’iperrealismo urbano a una liricità ermetica, nella consapevolezza di vivere un autentico transfert storico verso una civiltà tecnologia social che, a sua volta, dovrà prevedere, anche per l’arte, una lunga serie di fondamentali metamorfosi nella società, nell’urbanistica, nell’etica.

 

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