Dal 21 giugno al 26 agosto, alla Triennale di Milano, Walter Swennen (Bruxelles, 1946) espone nella sua prima personale in un’istituzione italiana, realizzata a cura Edoardo Bonaspetti, nella quale presenta la sua indagine sulle basi ideologiche della pittura: un percorso che si svolge attraverso una serie di lavori che ripercorrono i quasi trentacinque anni della sua carriera.
Prima di concentrarsi sulla pittura negli anni Ottanta, Swennen si è dedicato alla poesia e alla filosofia. Gran parte della sua produzione manifesta un interesse per le qualità associative del linguaggio: sperimentazioni evocative e collage stratificati popolano le tele e influenzano i titoli delle opere. Questo uso della lingua è intimamente legato al vissuto dell’artista. Da bambino, a causa della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia smise da un giorno all’altro di usare il fiammingo per adottare il francese e dopo qualche anno, Swennen non fu più in grado di parlare la lingua madre, condizione che complicò la sua visione del linguaggio come forma di comunicazione e di espressione.
L’artista si forma studiando il pensiero di Sigmund Freud, Søren Kierkegaard, e Jacques Lacan a cui segue un crescente interesse per il lavoro di artisti legati a ricerche attorno alla parola come Bob Cobbing o Marcel Broodthaers. Lettere, frasi e frammenti in inglese, fiammingo e francese iniziano a insinuarsi nelle tele, fornendo, o eliminando, tracce di narrazioni a favore dell’incoerente, il nonsenso e il mistero. La sua produzione segna un’insanabile frattura con la pittura intesa come linguaggio, mentre le immagini si liberano da ogni tentativo di rappresentazione del reale. La riconoscibilità di lettere, parole, figure è un’illusione, un inganno strumentale per spingere lo spettatore in una dimensione la cui ricchezza semantica non può essere chiarita né ridotta ai suoi minimi termini. Forse riconosciamo un disegno in una forma geometrica, una lettera ci seduce per le aggraziate forme della composizione, una parola per il suono, pensiamo di leggerle ma in realtà quello che vediamo sono superfici, forme, enigmi che significano sempre qualcos’altro, che ci portano inevitabilmente altrove. L’artista gioca quotidianamente con gli elementi della pittura, li isola e deforma in un infinito lavoro di composizione e scomposizione senza che un’idea o un piano all’origine lo guidi verso la produzione di un’immagine. Libero da necessità rappresentative, critiche o ideologiche, Swennen sperimenta con materiali, colori e tecniche, dispiegando ogni possibilità generativa dell’immagine attraverso un processo creativo di regole e parametri intenzionalmente traditi o disattesi.