È stata scelta una data simbolica per l’inaugurazione della mostra “Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell’architettura italiana 1944-2000”, organizzata dalla Fondazione Zevi in occasione del centenario della nascita del grande storico, docente, critico, politico e giornalista romano. Il taglio del nastro al MAXXI di Roma avverrà infatti mercoledì 25 aprile, festa della Liberazione, giorno significativo ed epocale per gli italiani tutti, compreso lo stesso Zevi che poté tornare in patria dopo l’esilio forzato a causa delle leggi razziali.
Attraverso disegni, plastici e materiali visivi l’esposizione si pone come obiettivo quello di rendere più chiaro il ruolo fondamentale che ha avuto Bruno Zevi (1918-2000) nel dibattito architettonico nazionale del dopoguerra, evidenziando l’importanza del rapporto tra Architettura e Politica attiva. Trentacinque gli architetti in mostra, i cui progetti, pubblicati e sostenuti da Zevi, hanno accompagnato il suo percorso in oltre cinquanta anni di attività critica e militante.
La “Storia e controstoria dell’architettura in Italia” di Zevi è stato, fin dalla sua prima edizione del 1997, un manuale sui generis che scardinava i presupposti fino allora vigenti nello studio della disciplina. Si basa perlopiù su giudizi di valore anziché sul tradizionale elenco di autori, tipico quest’ultimo di un retaggio idealista, al fine di decodificare «gli scatti linguistici innovatori», secondo una linea cronologica che va dal moderno all’antico.
«No all’architettura della repressione, classicista barocca dialettale. Si all’architettura della libertà, rischiosa anti-idolatrica creativa», è una delle frasi più celebri di Zevi, non a caso riportata anche nella mostra al MAXXI. Il suo assunto teorico trova spazio in “Il linguaggio moderno dell’architettura: guida al codice anticlassico” del 1973, interessante dal momento che contiene sia una pars destruens che una construens, quindi critica negativa e positiva.
Nel primo caso lo storico romano si scaglia senza mezzi termini contro lo stile classico, per spronare tutti (architetti, studiosi, studenti, istituzioni) a imparare finalmente a «parlare architettura» (si badi bene: non di architettura). Zevi afferma che nel corso del tempo una sola lingua è stata codificata, quella del classicismo. Essa impedisce a chiunque di attingere alla propria libertà, costringendo entro codici limitanti, cristallizzati e perciò opprimenti: prospettiva centrale, ordini che si ripetono, ossessione per la simmetria e via dicendo.
L’antidoto è quello di applicare le sette invarianti dell’architettura moderna: 1) l’elenco, inteso come principio genetico del linguaggio moderno che implica la ripulsa critica delle regole classiche, cioè ordini e convenzioni di qualsiasi tipo; 2) asimmetria e dissonanze; 3) la tridimensionalità prospettica, poiché la prospettiva quattrocentesca è stata da tempo inscatolata nella logica dell’accademia; 4) sintassi della scomposizione quadridimensionale, con l’estetica derivata dal Neoplasticismo, uno dei pochi tentativi di rinnovare l’architettura tramite il principio della scomposizione dei piani; 5) strutture in aggetto, gusci e membrane; 6) temporalità dello spazio, ovvero il problema delle nuove correnti che invece di essere rielaborate criticamente si formalizzano scivolando così ancora una volta nell’ottica dell’art pour l’art; 7) reintegrazione edificio-città-territorio con la nascita di una nuova disciplina che coinvolga in toto il rinnovamento di città e campagna.
Per il “De Sanctis dell’architettura” solo una persona ha saputo applicare alla sua opera tutte queste invarianti: Frank Lloyd Wright. L’edificio simbolo è la casa sulla cascata perché risponde davvero alle richieste della griglia proposta. Ecco le illuminanti parole usate per commentarla: «La scatola è completamente distrutta. Non esistono più pareti, né schemi geometrici, né simmetrie, né consonanze, né punti prospettici privilegiati, né leggi che non siano quelle della libertà e del mutamento».
La mostra “Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell’architettura italiana 1944-2000” resterà aperta fino al 16 settembre 2018. Promossa dalla Fondazione Bruno Zevi e dal Comitato Nazionale per le Celebrazioni del centenario della nascita di Bruno Zevi, è curata da Pippo Ciorra e da Jean-Louis Cohen.