Fino al 6 giugno prossimo, alla Reggia di Caserta è ospitata la mostra intitolata “La Pittura dopo il Postmodernismo”, realizzata a cura della statunitense Barbara Rose e con il patrocinio di: Mibact, Reggia di Caserta, Museo Madre, Ambasciata Americana, Ambasciata Belga, Ordine degli architetti di Caserta, Camera di Commercio di Caserta.
La mostra è composta da oltre 100 dipinti realizzati da artisti statunitensi: Walter Darby Bannard, Karen Gunderson, Martin Kline, Melissa Kretschmer, Lois Lane, Paul Manes, Ed Moses, Larry Poons; belgi: Mil Ceulemans, Joris Ghekiere, Marc Maet, Werner Mannaers, Xavier Noiret-Thomé, Bart Vandevijvere, Jan Vanriet; italiani: Roberto Caracciolo, Arturo Casanova, Bruno Ceccobelli, Elvio Chiricozzi, Gianni Dessì, Nino Longobardi, Roberto Pietrosanti, Marco Tirelli, Rossella Va ed è corredata da un esaustivo catalogo con testi critici e riproduzioni a colori di tutte le opere esposte.
Tra gli obiettivi principali della mostra vi è quello di definire le nuove modalità di un’arte che, piuttosto che demolire, ricostituisce gli elementi della pittura in nuove sintesi fresche e libere da dogmi e riduzioni teoriche, indagando le ragioni del perché, quando Marcel Duchamp dichiarò che la pittura era morta, furono in molti a credergli. Nonostante ciò, se si guarda ai decenni precedenti e successivi alla seconda guerra mondiale, si trovano artisti quali Picasso, Matisse, Miró e la Scuola di New York continuavano a realizzare opere di grandi dimensioni al pari dei grandi maestri del passato.
Negli anni ‘60 e ‘70, le gallerie e i musei definivano l’avanguardia in termini di arte concettuale, impiegando video, tecniche miste e installazioni, nell’intento di negare alla pittura la sua posizione di preminenza; relegandola ad un ulteriore tentativo postmoderno. Clement Greenberg, autorevole critico d’arte del dopoguerra, insisteva sul fatto che la pittura per rimanere “pura” doveva dirigersi alla sola vista, perché sosteneva che l’essenza dell’esperienza visiva era puramente “ottica”.
A partire dagli anni ‘80, il dogma di Greenberg fu sfidato dai critici europei, tra cui Achille Bonito Oliva, che usò il termine postmodernismo per descrivere una pittura che mescolava gli stili delle avanguardie storiche in un pastiche di nuove formulazioni figurative.
Gli artisti presenti in questa mostra desiderano ripristinare i valori tattili della pittura, ridefinendo il disegno come parte integrante del processo pittorico, andando oltre il postmodernismo per recuperare la pienezza della pittura intesa quale arte principale; in tal modo recuperando l’espressione tattile della materia pittorica, e la dimensione metaforica per adempiere a ciò che Henri Bergson definì come la sua funzione principale: essere “élan vital”, ossia slancio vitale.