Dal 10 marzo al 10 giugno al Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, di Venezia è esposta la mostra dedicata a John Ruskin, che punta i riflettori su Ruskin-artista e sul suo rapporto con la città lagunare. Voluta da Gabriella Belli quale tributo alla conoscenza e al mito di Venezia, è realizzata a cura di Anna Ottani Cavina.
Personaggio centrale nel panorama artistico internazionale del XIX secolo, scrittore, pittore e critico d’arte, l’inglese John Ruskin (1819-1900) ebbe un legame fortissimo con la città lagunare, alla quale dedicò la sua opera letteraria più nota, “Le pietre di Venezia”: uno studio della sua architettura, sondata e descritta nei particolari più minuti, e un inno alla bellezza, all’unicità ma anche alla fragilità di questa città.
La mostra si focalizza sull’artista, articolandosi attorno a cento sue opere che ne documentano la vocazione a tradurre in immagini la realtà, fissando su migliaia di fogli, a penna e acquarello. Si tratta eccezionalmente di prestiti tutti internazionali considerato che i musei italiani non custodiscono sui lavori.
La città, l’architettura, i grandi maestri veneziani di cui riproduce le opere reinterpretandole, la tensione a esplorare la natura, fra curiosità e immaginazione, sono i leitmotiv di questo incontro con i lavori di Ruskin, che da critico si batté per la modernità riconoscendo, in particolare, la forza rivoluzionaria della pittura di Turner, difeso contro i detrattori in vari scritti e nell’opera in più volumi “Modern Painters”. Un incontro fondamentale quello avvenuto, in giovane età, con un maturo Turner, tanto che del “pittore della luce” sono in mostra alcune straordinarie raffigurazioni della città lagunare, come Venezia, Punta della Dogana e Santa Maria della Salute prestato dalla National Gallery di Washington e Venezia, cerimonia dello Sposalizio del mare dalla Tate di Londra. La pittura di Ruskin è descrittiva, analitica, finalizzata a immortalare la realtà; eppure nello studio del dato naturale o nella ossessiva resa dei particolari architettonici c’è assoluta visionarietà, convinto che il vero artista sia un veggente, un profeta o, addirittura, uno «scriba di Dio», capace cioè di cogliere e rappresentare la verità divina contenuta nella realtà naturale. Oltre al viaggio in Italia e alla fascinazione per la natura, con una serie di acquarelli che privilegiano il tema della montagna e i paesaggi della penisola, il cuore dell’esposizione è comunque il rapporto dell’artista con Venezia. Questo legame, coltivato nell’arco di una vita, a partire dal primo incontro a sedici anni, e alimentato in undici viaggi tra il 1835 e il 1888, è esplicitato sotto diversi punti di vista – Studi di nuvole, Tramonti, Pleniluni, Scorci della laguna, Studi dai grandi pittori veneziani: Carpaccio, Veronese, Tintoretto – ma verte essenzialmente sul tema cruciale della “natura del gotico”, con la sua riscoperta e celebrazione: il momento più alto dell’arte e dell’architettura. Il testo di riferimento è il libro “The Stones of Venice” (1851-1853, 3 volumi), al quale si aggiungono le scenografiche tavole in folio degli “Examples of the Architecture of Venice”, pubblicate negli stessi anni, e “St. Mark’s Rest”. Infine, c’è anche una selezione dei Venetian Notebooks (taccuini di schizzi, misurazioni, piante, spaccati e fittissimi appunti), quindi manoscritti di Ruskin per The Stones of Venice (frammenti di carta azzurra mai prima esposti e conservati alla Morgan Library di New York), alcune prime edizioni a stampa, dagherrotipi, foto storiche e dipinti emblematici dei grandi pittori del Cinquecento veneziano a confronto con gli studi che il critico inglese aveva tratto da essi. La Venezia di Ruskin è paradigma, scoperta, ossessione; città per lui da amare per l’assoluta bellezza e da odiare per il suo decadimento, in uno stringente rapporto tra architettura e società civile. Venezia da cantare e da salvare.