“Forse mai come in questo finire di secolo l’arte ha assunto un ruolo veramente significativo. Il costume, le inquietudini, i movimenti, la politica e tutto il resto hanno ispirato come non mai il mondo dell’arte e degli artisti. Alcuni, ed a mio avviso sbagliano, ne fanno addirittura la loro bandiera. Resta comunque il fatto che il grande pubblico si è avvicinato all’arte (più lentamente in Italia che altrove (…) Penso che all’occhio esperto di un critico o di un visitatore preparato anche un solo quadro possa spiegare tutto il lavoro e la ricerca di una lunga attività, anzi di una vita”: sono le parole di Nanni Buschini da intervista radiofonica del 1976. E, per parodiare Alessandro Manzoni: “Buschini, chi era costui?”
Nella controversa storia della pittura italiana del secondo Novecento esistono veri artisti come l’astigiano Giovanni Buschini (detto Nanni) che meriterebbero una completa riscoperta: in questo caso si tratta di un personaggio assai famoso in vita all’interno sia della propria città sia di una cerchia di intenditori (tra cui valenti critici da Angelo Mistrangelo a Raffaele Degrada), ma che post morte mi viene in parte e in fretta rimosso o dimenticato. Solo ora, grazie alla tenacia degli eredi, di una città (Moncalvo) e di una onlus (Aleramo), durante la scorsa estate, viene approntata una piccola bella retrospettiva che riesce a dare l’idea del valore e dell’originalità di un pittore intellettualmente curioso, moderno, persino sperimentale alla sua maniera.
Figlio di commercianti, Nanni nasce ad Asti il 28 giugno 1924 e qui muore il 19 aprile 1992 dopo un’esistenza trascorsa in questa ridente cittadina piemontese dalla forte impronta sia medievale sia settecentesca (è la patria, del resto, di un certo Vittorio Alfieri). Ma per Nanni ci sono altri due luoghi topici: da un lato Gressoney dove diventa arrampicatore ed escursionista su livelli eccellenti, annotando dal 1957 al 1966 ogni luogo alpino visitato e confermando in tal senso la parallela vocazione di scrittore tradotta in parallelo da molte significative poesie. Dall’altro lato per lui c’è Parigi, dove risiede spesso, dove scopre la pittura di Maurice Utrillo (per anni un referente assoluto) e dove inizia a collezionare antiche cartolina con scorci suggestivi di una metropoli oggi profondamente cambiata.
Discorrendo invece dell’attività pittorico iniziata in gioventù e interrotta durante la seconda guerra mondiale – quando per sfuggire ai fascisti resta nascosto in una casa abbandonata per circa un anno – va ricordato lo studio con buoni insegnanti (i professori Piccardo, Laretto, Toniato), mentre, per sbarcare il lunario, si dedica alla professione di orafo. Collezionando libri e opere del Novecento Nanni ha modo di conoscere e frequentare grandi maestri come da Carlo Mattioli a Michele Cascella, da Ernesto Treccani a Mario Tozzi; sarà in particolare quest’ultimo l’influenza più rilevante sul piano visivo, almeno per gli anni Sessanta-Settanta, pur elaborando Nanni, fin dagli inizi, una propria estetica, che vede nella presenza costante della linea geometrica il supporto quasi lirico da cui si strutturano paesaggi naturali, figure umane, scorci di città.
Partito, nel dopoguerra, da un sano realismo, Nanni si avvicina al simbolico e al surreale, dapprima seguendo la lezione di Utrillo e di Tozzi e, verso la fine, anche del futurista Fortunato Depero per i colori e le rotondità. Dal punto di vista formale dunque l’artista astigiano conferma una prassi figurativa quasi avanguardista, mentre a livello contenutistico rispetta appieno la tradizione, non senza privilegiare un’altra grande passione come la musica e in particolare il jazz (Asti è la città di Gianni Basso e Paolo Conte, fra le capitali dei ritmi sincopati tricolori). È proprio in tre quadri acrilici come Quelle due, Rhythme, La Ruelle Jazz Band o nei due pastelli Il chitarrista e Solisti che si può rintracciare la genuina essenza di un pittore che merita senza dubbio ulteriori approfondimenti e decise riscoperte.
In tal senso, per concludere, basti pensare alla maturità di alcune affermazioni ritrovare nei numerosi appunti sparsi qua e là, quando ad esempio afferma, a proposito dello stile dell’ultimo periodo: “ (…) non ho mai creduto e non credo nell’ispirazione: credo esclusivamente nel lavoro continuo, intenso; nel mio caso la composizione nasce lenta; il pensiero ritorna insistente sull’idea base e sempre lentamente, con fatica costruisco dentro di me il quadro”.