Fino al prossimo 5 novembre, il Forte Marghera di Mestre ospita un’inedita installazione di sculture del XX secolo provenienti dalle collezioni della veneziana Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, con un progetto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Venezia, che si realizza a cura di Gabriella Belli, con il progetto di allestimento di Daniela Ferretti e la collaborazione della Fondazione Forte Marghera.
Il titolo scelto per l’evento, “Gruppo di famiglia”, ha un valore particolarmente simbolico e intende sottolineare lo stretto legame esistente tra le opere e la Città di Venezia, mentre il denominatore comune delle opere presenti nell’installazione, è l’evoluzione del linguaggio scultoreo attraverso il Novecento.
Le raccolte di Ca’ Pesaro sono legate, fin dal loro nascere, ai percorsi della scultura. Cresciuto grazie agli acquisti del Comune alle Biennali e ai numerosi lasciti e donazioni pervenuti da artisti ed eredi, il “gruppo di famiglia” che si è venuto a comporre a Ca’ Pesaro racconta la storia della scultura secondo due modalità interpretative, la figura da una parte e le forme astratte dall’altra. Figurativo è il verismo, movimento artistico di fine ’800 che affronta alcuni soggetti prediletti, come il lavoro, la vita nei campi, le persone colte nelle attività quotidiane: il Ciccaiuolo di Domenico Trentacoste e lo Scaricatore del belga Constantin Meunier. Centrale nel percorso della scultura figurativa a cavallo del secolo è la donna: ritratta con forme sinuose dal francese Joseph Bernard, interpretata nel chiaro-scuro del marmo e nel pieno-vuoto da Giuseppe Graziosi, presentata attraverso il mito di Susanna, reso con linee deformate e stilizzate da Marcello Mascherini o colto nella sua fisicità sensuale da Jan Stursa, simbolo di dolore nelle membra sofferenti ed allungate di Marisa in Michael Noble. Il corpo della donna rappresenta anche il legame con la natura, l’archetipo della nascita: Terra mater di Giuseppe Romagnoli e Madonna col bambino del toscano Libero Andreotti. La rappresentazione della figura umana può definirsi la grande sfida degli scultori post 1948: dopo la bomba atomica e la tragedia dei campi di concentramento, come si può ancora ritrarre e rappresentare in tre dimensioni la figura umana? Esseri atomizzati, come nella scultura di Agenore Fabbri, o all’opposto corpi stilizzati al massimo, quasi dei simboli geometrici, come il Cardinale di Giacomo Manzù, che si impone per la vertiginosa e massiccia fisicità e il volto assorto, o forse assente. Forte nella sua valenza politica è l’opera Filo spinato di Pino Castagna, bozzetto per il monumento alla Shoah, poi realizzato nel 2009 a Verona. La scultura del secondo ’900 vive a cavallo tra rappresentazione del reale e suggestione, tra costruzione e imitazione: Luciano Minguzzi, Mirko e il grande maestro Alberto Viani. All’esplorazione dello spazio e delle forme simboliche cara a Mirella Bentivoglio si affiancano le suggestioni in bronzo o pietra di Carlo Ramous e Lorenzo Guerrini, e le indagini del movimento spazialista veneziano di Bruno De Toffoli. Il rapporto figura-forma-materia caratterizza l’opera di Aldo Calò, mentre in ambito di Nouveau réalisme si colloca la ricerca del francese Arman. Chiude il gruppo di famiglia, di una famiglia eterogenea ma vivacissima, la scultura- meccanismo di Adriano Bergozza, che allude al clima di avanguardia dei primi del ’900, di fiducia e ottimismo riguardo il futuro.