di Luca Baldazzi
La Chiesa della Pietà, Riva degli Schiavoni, Venezia, dal 13 maggio al 30 novembre, per la prima volta nella sua storia secolare apre i suoi spazi ad un artista, accogliendo la mostra Exodus, una esposizione di opere pittoriche di Safet Zec (Rogatica, Bosnia-Erzegovina, 1943) realizzate sul tema bruciante delle migrazioni.
La mostra, a cura di Giandomenico Romanelli, presenta un ciclo di tele di grandi dimensioni, realizzate espressamente da SafetZec per questo evento espositivo, che illustrano la potenza del linguaggio dell’artista bosniaco, in un percorso artistico e umano intenso e drammatico.
Nei suoi grandi pannelli dipinti con tecnica mista (dall’olio alla tempera, dal collage al disegno), che nella Chiesa della Pietà si trovano in dialogo con i capolavori di Tiepolo, Zec ritrova le linee portanti della sua ricerca trentennale, impegno contro ogni guerra e la feroce inutilità della violenza.
Tema della mostra l’urlo di denuncia contro ogni guerra e contro la tragedia della migrazione, della condizione alienante del rifugiato, la testimonianza anche personale, intensa e terribile, di un artista che ha vissuto il dramma dello sradicamento, della fuga, dell’esilio.
Un grido artistico e umano per la cessazione di tutte le guerre, che in ogni tempo portano orrore, dolore, morte e distruzione nei paesi in conflitto, lanciato da SafetZec già 25 anni fa, quando con la sua famiglia fu costretto a fuggire dalla Bosnia e dalla sua città, Sarajevo, dilaniata dalla guerra.
Portatore di un dolore profondo e radicato, che prende forma nelle sue opere, di grandissima forza espressiva ed emotiva, Zec è nuovamente a scuoterci, a condurci a riflettere sull’assurdità delle sofferenze, dei traumi fisici e psicologici, ma anche sociali, che intere popolazioni sono costrette a subire a causa dei conflitti che si scatenano nei loro territori, massacrati, violentati, nelle loro città distrutte, ridotte a cumuli di terra e macerie, spazzate via, insieme alla loro vita quotidiana, alla loro identità, alla loro esistenza.
Ed è attraverso l’arte che Zec rinnova ed esprime il suo grido di dolore e denuncia, con intensa e profonda umanità, lasciando parlare i volti, le mani, gli abbracci, le lacrime che animano le sue opere. Un grido che si traduce in una sequenza di figure strazianti dove la presenza di bambini cui tutto viene sottratto, anche il futuro, salva – forse – la speranza di trovare accoglienza in una altra terra, in un altro mondo, risulta essere la denuncia più cruda e violenta contro la violenza ottusa e feroce della distruzione pensata, voluta e organizzata da uomini contro altri uomini.