Alla Galleria Fidia Arte Moderna di Roma, fino al 31 marzo è ospitata una mostra di opere di Leandro Lottici accompagnata dai testi in catalogo di Costanza Savelloni e Miguel Mallol.
La mostra è composta da 10 opere divise in dittici illustrati da una didascalia esplicativa, di cui 5 lavori su base in alluminio, nei quali l’artista segue il suo percorso di rapporto con la materia dall’edilizia che, in complicità con la tematica della mostra, ha anch’essa origini sarde. Le sfumature di questi cieli sono il risultato di una sovrapposizione di pittura murale molto densa e lavorata. Le altre 5 opere sono xilografie dello stesso soggetto dei dipinti, su grandi matrici di acero e stampate a secco. Questa procedura ha un lavoro intenso di incisione delle matrici alle quali non viene sovrapposto alcun inchiostro ma lasciate in un bianco su bianco che accentua questo impatto visuale tattile. Il pregio delle opere si trova anche nella tiratura bassissima nel numero di 2 o 3 esemplari ciascuna.
Dopo una riflessione sull’architettura contemporanea di Roma, sua città di adozione, Lottici orienta la sua ricerca artistica verso una strada difficile ma stimolante: inizia un viaggio interiore verso sé stesso che lo spinge a togliere tutto il superfluo per andare all’essenza delle cose.
Il richiamo alla sua terra d’origine diventa protagonista, come una sorta di richiamo ancestrale da cui attingere una forza primordiale che lo risollevi più forte e sicuro. In questo viaggio, va gradualmente indietro togliendo vari filtri fino ad arrivare a una sintesi, quella che pretende trasmettere con poco, quella idea intangibile dei nuraghe sardi o dei templi arcaici.
È proprio il carattere irrisolto ed enigmatico di queste costruzioni ad aver costituito lo spunto per la nuova serie di lavori ispirati alla Metropoli Arcaica.
A un primo sguardo distratto, il progetto potrebbe sembrare l’omaggio di un artista nostalgico alla sua terra d’origine, invece Leandro prosegue la sua ricerca sull’architettura sfidando le proprie possibilità di artista, tentando di scomporre fino a giungere a una forma pura questi monoliti affastellati da pietre, sabbia e malta.
A testimonianza dell’indagine svolta su un lessico familiare, la tecnica utilizzata per realizzare le opere, che rievoca quella ideata dagli antichi per costruire questi magnificenti complessi architettonici. La sabbia sarda mista alla malta, genera un parallelismo tattile tra i monoliti dell’isola e le superfici rielaborate dall’artista, caratterizzate dai toni caldi, come fossero memoria dell’incontro tra il sole e la pietra della terra sarda, a contrasto con l’azzurro striato del cielo, ottenuto con successivi strati sovrapposti.
Questa mostra invita a riflettere sul valore del nostro patrimonio, come unicum facente parte di una bellezza universale costituita di tante facies diverse, troppo spesso trascurate e poco valorizzate. Una riflessione identitaria, sulle origini e la tradizione, che porta Leandro Lottici a uno stadio ulteriore della sua arte, così complessa e stratificata nell’esecuzione quanto pura e immediata alla vista.