Si sta sempre più diffondendo e incrementando, nel campo delle arti visive, la tecnica fotografica che, rispetto alla pittura e alla scultura, ha una storia molto più breve con origini che risalgono, come si sa, alla seconda metà dell’Ottocento. Nata, come altre arti, per riprodurre, testimoniare e documentare, la fotografia è presto diventata un’espressione d’arte, l’obiettivo e la camera come strumento a servizio della creatività dell’uomo.
Indiscusso genio e pioniere è stato Man Ray, il quale con le minime strumentazioni offerte nel suo tempo ha saputo sfruttare al meglio immaginazione, ironia, creatività e lasciare ai coevi e ai posteri un bagaglio incalcolabile di cultura. E, nella storia di oggi, i suoi lavori appaiono già come reperti archeologici.
Fa riflettere su questo tema l’attuale moltiplicarsi di mostre, festival, fiere dell’arte riservate alla fotografia, affiancate da un mercato in piena espansione che vede anche prezzi per ogni opera di tutto rispetto. È un settore che, in questo momento, appare persino più recepito della video arte. Anche gli strumenti a disposizione sono sempre più sofisticati, precisi, complici dell’artista.
Come in tutte le arti che si rispettino, anche qui emergono dei geni e molti, molti “altri”, senza un minimo di autocritica e nasce per l’ennesima volta l’occasione di sentirsi “prodigi incompresi”, con una grande capacità, però, di critica sul lavoro altrui.
La domanda che nasce spontanea è: cosa rende “opera d’arte” una fotografia?
Nel cercare una risposta ci accorgiamo che le riflessioni sono affini a quelle che riguardano le altre espressioni d’arte, ossia sono indispensabili la cultura, la capacità e la conoscenza tecnica, l’informazione, la creatività, l’inclinazione artistica e, persino, un po’ di modestia nel sapere guardare e apprezzare i lavori di altri. Anche in questo caso è necessario che l’occhio del fotografo riesca a vedere qualcosa che le altre persone non vedono e che sappia con l’obiettivo cogliere l’intimità del soggetto, il suo contenuto, la sua anima, le sue vibrazioni.
Guardiamo, per esempio, le immagini acute, spesso graffianti, incisive di Oliviero Toscani oppure le polaroid scomposte e ricomposte di Maurizio Galimberti, ma anche quelle del giovanissimo Ren Hang (ventinovenne, scomparso pochi giorni fa), fotografo provocatore, dissacrante, sensuale, ma anche colorato, ironico, allegro, fantasioso, tra loro estremamente differenti, ma tutti con una sensibilità ineguagliabile che ha portato frutti irripetibili e vere opere d’arte.
Tra i fotografi geniali e meno conosciuti va citato Franc Oldering (1926-1999), argentino e vercellese di adozione che, pur non disponendo della tecnologia di oggi ha realizzato opere straordinarie solo con l’obiettivo e la pellicola, ma con una rara capacità di “trovare” una luce preziosa e fermare un istante unico per riproporlo così come si è generato naturalmente, senza ritocchi, senza artefici, nel suo splendore reale, grazie all’esclusiva complicità tra artista e soggetto, servendosi di uno strumento ancora arcaico rispetto alle offerte odierne.
Allora, non c’è motivo di stupirsi se l’arte si è impadronita anche della fotografia mettendo in luce la poliedrica creatività umana. Un quesito, però, lo possiamo ancora proporre e riguarda l’unicità dell’opera fotografica la quale, essendo facilmente riproducibile, è più affine a una grafica, a una composizione musicale o letteraria piuttosto che a un dipinto. Questo vale sia per la fruibilità (non esclusiva) e sia per il suo posto nel mercato dell’arte.