“Exhibition paintings”, aperta fino al 17 aprile prossimo, è una mostra collettiva allestita a Merano Arte e curata da Christiane Rekade, che raccoglie le esperienze di sei artisti internazionali: Charles Avery, Paolo Chiasera, Martin Pohl, Dorothy Miller, Lea von Wintzingerode, Amelie von Wulffen, accomunati dall’interpretazione della pittura quale potenziale per ampliare il concetto stesso di esposizione, il rapporto tra curatori, pubblico e artisti, e indicare delle alternative alla situazione attuale.
La rassegna nasce dalla considerazione che negli ultimi anni un numero sempre maggiore di artisti ha riflettuto sul medium pittorico, o meglio sui possibili approcci ad esso. Tuttavia, sempre più autori vedono nella pittura una possibilità di emancipazione dalle nuove condizioni lavorative imposte dal presente. Condizioni che spesso derivano dalla crisi economica e da un sistema dell’arte assoggettato alle regole di un mercato sempre più aggressivo.
Mentre Charles Avery, Paolo Chiasera e Martin Pohl concepiscono nuove mostre che “si attuano” esclusivamente sulla tela, Dorothy Miller, Lea von Wintzingerode e Amelie von Wulffen ricercano all’interno del proprio lavoro, quei meccanismi sensibili e mutevoli che entrano in atto nel rapporto tra l’artista e il proprio pubblico.
Dal 2010, Paolo Chiasera (Bologna, 1978) lavora a un ciclo di opere intitolato “exhibition paintings”, una serie di mostre che trovano realizzazione esclusivamente sulla tela, che ha curato egli stesso o le ha concepite in collaborazione con un co-curatore.
Allo stesso modo il britannico Charles Avery (Oban, 1973), nella serie di opere “It Means, It Means!” (2013), ripensa il concetto di Musée Imaginaire e l’esposizione quale luogo di produzione artistica e curatoriale.
Per Chiasera, Avery e Pohl la tela è lo spazio di realizzazione delle mostre, così come in Malraux, il libro diveniva la cornice del Musée Imaginaire.
La giovane artista Lea von Wintzingerode (Bayreuth, 1990) riconosce nella pittura una possibilità di reazione alla velocità con cui si consumano i contenuti artistici nell’era digitale dell’arte e nel proprio lavoro approfondisce il rapporto tra l’osservatore e l’immagine. Così i contenuti visivi spesso rappresentano anche potenziali situazioni espositive, e di performance il cui pubblico diventa inevitabilmente l’osservatore del quadro.
Amelie von Wulffen (Breitenbrunn, 1966) impiega la pittura e il disegno per registrare con autoironia e gusto per l’esagerazione il dietro le quinte di una mostra. Nel suo fumetto, composto da schizzi a matita abbozzati, l’artista descrive le proprie paure e fantasie assieme al suo (soprav)vivere nel mondo dell’arte. Così, in “Am Kühlen Tisch” (2013), rappresenta, con ispirazione parzialmente autobiografica, alcune scene durante le cene dopo le inaugurazioni, dominate dallo stress di doversi sedere al tavolo giusto con la gente giusta, di ricerche del proprio nome condotte di nascosto su Google e delle frasi che vengono scambiate in occasione dei vernissage. Von Wulffen combina il fumetto con una serie di grandi ritratti di artisti e nature morte, ed una serie di sedie scolastiche su cui è intervenuta con la pittura.