Aperta in occasione di ArteFiera di Bologna, la mostra “Raccogli la cosa nell’occhio”, che rientra nella sezione Art City Polis della quinta edizione di Art City Bologna, è un progetto di Martino Genchi, promosso da Istituzione Bologna Musei e ideato appositamente per il Museo Civico Medievale di Bologna con il contributo critico di Claudio Musso; è visibile fino al 26 marzo.
In questa mostra, Genchi sceglie di posare il proprio sguardo sulla memoria attiva di ciò che appare nella sua assenza a causa del disfacimento della storia. I danneggiamenti e i vuoti generati da terremoti, spoliazioni e cancellazioni, vengono interpretati dall’artista come segnali di un conflitto tra ricerca di eternità e consunzione del quotidiano, per essere trasformati in fenomeni visivi: oggetti dello sguardo che si aggiungono a quelli esposti all’interno del display museale.
L’intervento concepito da Genchi si insinua infatti nelle profondità delle opere per indagarne le parti mancanti che ne compromettono una rappresentazione formale compiuta.
Questo processo creativo di Genchi trova negli spazi che si aprono dalla coesistenza antagonista di visibile e invisibile il varco per costruire una fruizione inedita del Museo Civico Medievale. L’artista interagisce infatti con le sue collezioni e i suoi spazi architettonici attraverso un percorso di installazioni poligonali, in alcuni casi delimitate da cornici in alluminio anodizzato argenteo, fissate in sospensione alle pareti da tiranti, che affiorano come espressioni mediate di un tempo trascorso non più visibile attraversando sei sale del museo, tra piano interrato, piano terra e primo piano come un fluido dispositivo di compatta coerenza formale.
In questa trama di segnali visivi costruita per attivare uno stato di attenzione, Genchi affronta il rapporto con l’antico nella consapevolezza che l’allestimento è forma architettonica di assoluta sostanza scegliendo, di sala in sala, di indirizzare lo sguardo dello spettatore su alcuni importanti pezzi del patrimonio conservativo, in una relazione che esalta la densità spaziale tra opere e contesto. Così è, per esempio, per la grande statua di Bonifacio VIII in lastre di rame dorato, eseguita all’inizio del XIV secolo da Manno Bandini da Siena collocata nella sala VII, del bassorilievo di Apollo che suona la cetra, di probabile fattura quattro-cinquecentesca veneziana, esposta nella sala XV, oppure del trittico con Madonna, Bambino, Angeli e Santi di Jacopo della Quercia visibile nella sala XII.
Ogni opera realizzata dall’artista riproduce un modulo di varianti geometriche e trova un suo luogo preciso di collocazione in un punto che stabilisce dinamiche di dilatazione o contrazione della tensione volumetrica delle sale espositive, stimolando la scoperta di una nuova visione dello spazio museale.
L’esposizione è accompagnata da una brochure bilingue italiano-inglese che contiene un contributo critico di Claudio Musso.