Una volta alla presentazione di uno dei suoi libri Gianni Berengo Gardin disse in maniera categorica a chi lo osannava: «non voglio essere chiamato artista», concetto poi ribadito in più occasioni da colui il quale a buona ragione è considerato uno dei maggiori fotografi viventi. Un fatto che colpì i presenti fu che Berengo Gardin, protagonista di quella serata, si presentò sul palco con la sua fedele Leica, continuando a scattare senza tregua nonostante non ci fosse nulla di particolarmente interessante da fotografare a parte gli sguardi pieni di ammirazione della gente in sala. Tuttavia ragionandoci a posteriori il suo atteggiamento non doveva sorprendere più di tanto visto che anche in quel momento egli stava utilizzando il linguaggio che parlava meglio. Una concezione artigiana della fotografia quindi, che deve essere prima di tutto una testimonianza: «documento le cose che mi circondano e che vedo». Tutto qui. Perciò guai a parlargli del suo lavoro accostandolo all’opera d’arte, casomai al racconto che è poi la sua principale finalità.
Gianni Berengo Gardin è uno dei grandi nomi della fotografia italiana, ma non solo. Visto il suo campo di azione può essere considerato un intellettuale a tutto tondo. Ha iniziato negli anni ’50 e da allora non si è più fermato. Tra i suoi tanti libri vale la pena ricordarne due: “Morire di classe”, reportage realizzato con Carla Cerati sui manicomi, pubblicato nel 1969, vale a dire nove anni prima della legge Basaglia, e “Un paese vent’anni dopo” in cui ha collaborato con Cesare Zavattini ritornando sui luoghi già immortalati da Paul Strand.
Nel corso della sua vita Berengo Gardin ha conosciuto e ritratto artisti, poeti, scrittori, architetti, registi, giornalisti e chi più ne ha più ne metta. Uno scambio proficuo che ha arricchito entrambe le parti e che ora è possibile ammirare al CAOS (Centro Arte Opificio Siri) di Terni. Inaugurata il 19 gennaio e aperta fino al 30 aprile la mostra “Gianni Berengo Gardin. Vera fotografia con testi d’autore”. Progetto espositivo di Contrasto (l’agenzia di cui fa parte il fotografo), prodotto da Civita e promosso dal Comune della cittadina umbra con Indisciplinarte.
Ventiquattro fotografie tra le più rappresentative del maestro, ognuna delle quali è narrata da personaggi che hanno incrociato il suo cammino. I testi sono di registi: Marco Bellocchio, Alina Marazzi, Franco Maresco e Carlo Verdone; architetti Stefano Boeri, Renzo Piano e Vittorio Gregotti; artisti: Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, Jannis Kounellis; poi ancora Lea Vergine e Goffredo Fofi, il sociologo Domenico De Masi, i colleghi Ferdinando Scianna, Sebastião Salgado e un giovane emergente come Luca Nizzoli Toetti; scrittori: Maurizio Maggiani e Roberto Cotroneo; giornalisti: Mario Calabresi, Michele Smargiassi e Giovanna Calvenzi; lo psichiatra Peppe Dell’Acqua, appartenente all’equipe di Franco Basaglia; Marco Magnifico, vicepresidente del FAI; la street artist Alice Pasquini. La mostra è arricchita da immagini tratte dall’archivio personale del fotografo.
Abbiamo detto che Gianni Berengo Gardin non ci tiene in alcun modo essere definito artista perché a suo modo di vedere gli artisti sono altri. Lui continua a interessarsi dell’uomo e a raccontarlo nelle sue varie sfaccettature. Sia che fotografi una donna che corre in piazza San Marco facendo volare via uno stormo di piccioni o due amanti che si baciano appassionatamente sotto i portici o ancora una nave da crociera in procinto di fare l’odioso “inchino” a Venezia (una delle sue ultime denunce), Berengo Gardin ha la piena consapevolezza che da testimone privilegiato qual è sta documentando una storia. Artista no, ma – almeno questo ce lo permetta – maestro sì perché come dice Paolo Conte: «il maestro è nell’anima e nell’anima per sempre resterà».
La mostra “Gianni Berengo Gardin. Vera fotografia con testi d’autore” è visitabile nei seguenti orari: dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19; dal 26 marzo dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20; lunedì chiuso. Per maggiori informazioni: http://www.caos.museum