A contemplare i quadri dipinti da Lucio Saffaro in circa quarant’anni di poliedrica attività vengono subito in mente tanti diversi maestri della pittura moderna che potrebbero averlo più o meno influenzato: in ordine sparso Klee, Vasarely, Escher, Depero, Balla, Mirò, De Chirico. Ma affiorano alla memoria collettiva anche tendenza culturale tra loro antipodiche come il Rinascimento italiano dei trattati teorici o la fantascienza statunitense dei fumetti di serie b. Tuttavia la poetica di Saffaro va ben oltre i richiami espliciti o le influenze estetiche, benché l’autore sembra comunicare dal minimo dettaglio all’impostazione generale di ogni un enorme sapere sia letterario-umanistico sia tecnico-scientifico. La pittura di Saffaro pare dunque attraversata da profonda filosofia che, a sua volta, riesce sulla tela a mediare gli altri due saperi per i quali è noto: la matematica è la poesia. La ricerca sui poliedri da un lato e la sperimentazione con la parola dall’altro vengono quindi tradotte visivamente in immagini quasi sempre geometriche o geometrizzante, per le quali si può parlare di una sorta di astrattismo metafisico (come pure di metafisica astratta). Certo, il corpus inventivo di Saffaro andrebbe valutato nell’insieme, nella complessità, nell’interezza fin quasi a scoprire un discorso di ‘arti magiche’, dove la magia consiste ‘semplicemente’ nella rielaborazione fantastica dalle conoscenze acquisite più o meno simultaneamente tra pittura, matematica, poesia. Ma anche a riflettere soltanto attorno all’opera pittorica emerge comunque il fattore ‘arti magiche’ variamente declinato con razionalità e consapevolezza, lungo un percorso impercettibilmente mutevole nel corso degli anni, con numerose varianti che attraversano il fare pittorico, a cominciare dalle figure antropomorfe (alla guida, talvolta, di marziani da modernariato) con prevalenza dei rossi e dei verdi alla fine degli anni Cinquanta, per finire con i poliedrici blu-azzurri (oppure ocra gialla) che spiccano su fondi neutri grigi, tra gli anni Settanta e Novanta. In mezzo ci sono i cosiddetti favolosi Sixties, significativi anche per Saffaro nel diventare un artista riconosciuto e applaudito ovunque, con un curriculum di recensori di prim’ordine; è il decennio in cui emergono le ultime neoavanguardie, verso le quali non c’è mai contatto diretto, sebbene Saffaro respiri a pieni polmoni l’aria di cambiamento ovunque in atto (linguaggi artistici compresi); in tal senso esiste ad esempio, sul piano oggettivo delle analogie visuali, un’ideale vicinanza con l’arte programmata e cinematica, con il neosurrealismo, persino con il concettuale, ma ancora una volta Saffaro trascende la singola corrente nel proporre un filo logico personalissimo. Dunque, alla fine, merita senza dubbio, una rivalutazione storico-critica Saffaro con le sue arti magiche (intese come opera omnia comprensiva di pittura-matematica-poesia), dove inedite tassellature dei piani, nuove classi di icosaedri, particolari aspetti dell’infinito matematico, alcune strutture assiomatico-linguistiche diventano un tutt’uno in una pittura forse già postmoderna a te litteram che, in conclusione, ancor oggi sorprende per il riuscito amalgama. Per saperne di più lo stesso artista, poco prima di morire, non avendo eredi diretti, lascia l’immenso patrimonio a una fondazione che porta il suo nome.