Dal cammino sulle acque di The Floating Piers al punto di ristoro della panchina di Without Land: l’arte contemporanea segna la propria trasformazione interna passando da processo mentale ad esperienza sensoriale. Con queste due opere si è andati oltre la Land Art che prevedeva l’intervento nel e sul paesaggio lasciando che il tempo lavorasse per l’artista. Qui si è posti di fronte al non essere semplici consumatori di un’opera d’arte, ma essere noi stessi produttori di senso grazie al fenomeno artistico posto in itinere.
Intervengo su due recenti esperienze artistiche in quanto, a mio avviso, segnano il cambiamento di asse verso un’arte, si diceva, non più e non tanto psicologicamente rivolta all’interiorità psicanalitica, quanto alla psicologia di tipo comportamentistico esperienziale.
Andando a verificare le due manifestazioni The Floating Piers, dell’artista bulgaro Christo nel lago di Iseo, e Without Land, evento collaterale della Biennale Architettura 2016 di Venezia, si evince che per entrambe le installazioni non si tratta di Land Art in quanto, pur operando sul paesaggio, non ne cambiano l’assetto strutturale e invece ne sottolineano una diversa funzione per tramite dell’evento artistico. La passeggiata creata appositamente, più che incidere ed inserirsi cambiandone la struttura naturale, disegna nuovi bordi, rive o sentieri in definitiva fittizi perché alla fine verrà disfatta e tolta. Un po’ come quando si fa un nuovo sentiero in un campo innevato lasciato dalle nostre tracce e sciolta la neve scomparirà pure il nostro sentiero, il quale, semmai, lascerà traccia solo nella nostra memoria personale. Da qui nasce il bisogno di esserci e camminare sopra la “passerella” ocra creata dall’artista bulgaro. Tant’è che i giudizi più duri vengono dai nostri critici più tradizionalisti come Daverio che su Facebook ha sostenuto che “l’opera di Christo è una baracconata”, e a seguire Sgarbi che, sempre su Facebook, sostiene che la passerella “è una sega” se non ha una funzione civile. Essa non porta nessun vantaggio alle opere antiche dei paesi limitrofi con cui dovrebbe interagire come “ponte ideale tra presente e passato”.
Anzi, essendo un’esperienza di divertimento, è capitalistica e consumistica in quanto si esaurisce in sé, senza legami con le splendide cittadine di Lovere e Sarnico dove c’è il più bel Liberty italiano. Ora, se l’opera di Christo doveva servire ad altro avrebbe abdicato alla sua funzione artistica per una funzione utilitaristica come un qualsiasi ponte ingegneristico. Qui l’intento è di camminare in una situazione del tutto inconsueta e da un punto di vista prospettico altro, cioè a dire mi muovo all’interno di un paesaggio che, benché ricostruito, accelera i sensi e attiva le mie funzioni motorie solitamente abbassate. Già una barca che mi trasportasse sarebbe un evento di sola memorizzazione dell’esperienza, benché bello e interessante, di certo non nuovo, soprattutto perché affidato ad altro (motore) elemento a me esterno. Mentre qui sono completo e completato fisicamente dentro una situazione paradossale che non richiede un “trasporto” psichico come nel Surrealismo, bensì sensorio di un allargamento dell’esperienza psicologica. Certo che si sarebbe potuta comprovare la medesima esperienza dentro un paesaggio magari di montagna come le Dolomiti o i ghiacci dell’Artico, ma sarebbe stata una pura esperienza naturale dove la maestà della Natura ci avrebbe posto di fronte la scala di grandezza della sua tipica forza raffrontata alle proprie capacità personali. Qui la “passerella ocra”, al contrario, è un’opera d’arte, frutto dell’ingegno umano, che cambia la scala naturale di grandezza in cui provo una nuova prospettiva paesaggistica e mi dà, o dona, una nuova sensazione.
Funziona quale valore aggiunto come se prendessi un medicinale (droga o steroide) per accrescere le mie facoltà fisiche e psichiche. Trovo quindi che le osservazioni dei due “storici” nostrani si fermino alle sensazioni più che alle emozioni profonde. Il loro è uno sguardo superficiale, non profondo spostato su altro. Inoltre ne danno una riduzione di valore alla funzione più bassa dell’esperienza cioè a quella utilitaristico comportamentale. L’evento collaterale della Biennale di Architettura 2016: Without Land/Senza Terra si fonda sull’idea di un punto qualsiasi del mappamondo al fine di soddisfare un bisogno di sosta/presenza al di là ed al di sopra delle limitazioni fisiche dello spazio, politiche o geografiche del territorio, o di confine, in quanto superate dal concetto di “non luogo”, di un punto dove ognuno di Noi può identificarsi come umano, più che per destino divino o etico, in quanto appartenente all’Umanità. L’installazione prevede una panchina ed un pallone aerostato a mappamondo che segnano il punto prescelto. In questa panchina sono scolpiti i nomi di quanti hanno appoggiato il progetto: artisti e non, al di là della loro funzione sociale, qui dichiarati solo come uomini. IL luogo scelto è l’Isola di San Servolo, già manicomio della Provincia di Venezia e quindi luogo indicativo di “recinto” abbattuto (Pardez in iraniano antico, da cui deriva Paradiso, vuol dire recinto! Pure questo del Paradiso era un recinto in cui un Padre padrone: Dio teneva al chiuso i suoi due protetti Adamo ed Eva liberatisi in seguito attraverso la conoscenza, il sapere avuto dalla mela del Serpente biblico. Questa loro liberazione riscattata dal sapere ha significato soffrire e guadagnarsi il pane col lavoro).
Riaffermando questo senso di liberazione umana da tutti i recinti Without Land vuole segnalare che oltre la geografia delle frontiere l’umano è solo con la sua sofferenza biblica e con il suo bagaglio di conoscenza che è la sua cultura di appartenenza alla stirpe umana. L’opera si consuma nel suo essere transitoria, finita nella sua definizione; essa pone allo spettatore domande che gli cambiano il modo di pensare nella duplice modalità del Rifiuto/Adesione al progetto. Si può sostare, scrivere, fotografare. L’invasione dello spazio è minima, quasi un segnale, come lo fu la “Fermata di Tram” del 1976 di Joseph Beuys. Infine pure qui c’è una nuova spazialità laterale nel girarvi attorno o nel guardare seduti il paesaggio attorno. Quindi le due installazioni escono dalla categoria della Land Art per essere più vicine ad un’arte di transizione che sposta la questione già individuata della sua finitezza allo “sguardo” duchampiano, là dove si diceva che l’opera si completa sotto lo sguardo, si passa ad un’opera che si completa dentro la persona psico/fisica dello spettatore grazie alla sua percezione sensoriale che si trasforma plasticamente. La mente è vista oggi come una scultura plasmabile e per essa le percezioni sensorie sono le muscolature grazie alle quali la mente si sviluppa. Tutto il mondo dell’arte si va alterando in quanto assorbito in modo diverso dal passato. Se prima era un’esperienza personale da interiorizzare e a cui rapportarsi culturalmente, oggi lo è rapportandosi collettivamente, socialmente, cioè in maniera aperta e condivisibile. Quindi le due percezioni sensoriale e comportamentale cambiano, influiscono non solo sull’individuo/persona, ma sulla collettività, qui intesa come gruppo sociale (pubblico dell’arte) che consuma l’opera. Ma il consumo prevede non solo una neutralità psichica rivolta all’interiore, bensì una produzione creativa del comportamento, quindi in definitiva un atteggiamento che implica un mutamento culturale più che psicologico. Il pensiero in queste opere viene dopo, viene durante l’uso dell’opera al seguito dello sviluppo “muscolare” del cervello, il quale porta a porsi domande e darsi risposte e anche godimento. In precedenza, nell’arte pittorica, era l’opera a dare risposte in quanto portatrice di una visione del mondo e quindi di senso proprio, mentre qui sollecita maieuticamente la risposta a posteriori.
Pertanto con questi ed altri esempi come “No Man’s Land” (Una Terra di Nessuno, ma per Tutti) di Yona Friedman a Loreto Aputino in Pescara, o ancora l’opera circo “Doubt”, il luna park allucinato di Carsten Holler all’Hangar Bicocca di Milano, l’arte attuale si pone interrogativi, anzi ci obbliga ad interrogativi socio/politici per cui lo spettatore, o usando un termine obsoleto il “fruitore”, diventa egli stesso essere creativo di senso in quanto dovrà trovare le risposte dentro di sé sulla visione del mondo. L’opera diventa un grimaldello per capire il mondo e suscitare in Noi sogni diversi, grazie alle alterazioni e distorsioni della creazione artistica. Tutto ciò cambia le percezioni psico/fisiche allargandole, anche se l’allargamento di esse comporta una certa banalizzazione nel consumo dell’opera installata (aspetto di solito presente quando questa è inserita in un contesto socionaturale). Ma ben venga questa riduzione della capacità di godere l’opera se può servire a cambiare la prospettiva della visione del mondo. Usando le parole del filosofo tedesco Ernst Junger a proposito del nichilismo come fase di superamento di un processo spirituale che va oltre una visione personale: “l’individuo nella sua esistenza personale può superare ed esaurire in se medesimo, o magari coprire di nuova pelle come farebbe una cicatrice”.
Questa nuova pelle può essere una coscienza rinnovata a fronte di un nuovo modo di “consumare” l’arte.