di Luca Baldazzi
Robert Morris (Kansas City, 1931) è considerato uno dei principali teorici del minimalismo. Noto maggiormente come scultore, le cui opere sono state esposte in numerose mostre, personali e non, compresa la Biennale di Venezia, è presentato, invece, al MART di Rovereto con una mostra antologica dedicata ai film e ai video da domani, 23 luglio e fino al 6 novembre prossimo.
Egli è considerato tra le figure chiave dell’arte del ‘900, sia per l’operato artistico, sia per la centralità dei testi programmatici. Morris, ingegnere di formazione, concentra la sua ricerca sulle proprietà espressive elementari della materia: il peso, il volume, la forma determinata dalla gravità. L’indagine sulla scultura non si ferma, però, all’oggetto. Dal 1963 al Judson Dance Theater, crocevia della sperimentazione americana degli anni ’60, Robert Morris interpreta il teatro e il cinema con gli occhi dello scultore.
Sia attraverso le sue sculture degli anni 1960 e che gli scritti teorici, Robert Morris ha teorizzato una visione dell’arte ridotta a semplici forme geometriche spogliate delle associazioni metaforiche, e focalizzata sull’interazione dell’opera d’arte con lo spettatore. Tuttavia ha sempre utilizzato una gamma straordinariamente variegata che si estendeva ben oltre l’ethos minimalista ed è stato in prima linea di altri movimenti artistici americani contemporanei, in particolare la Land art.
I lavori realizzati intorno la metà degli anni ’60 del Novecento, sono alcuni degli esemplari chiave della scultura minimalista: enormi, forme geometriche ripetute, come i cubi e sbarre rettangolari prive di figurazione, struttura di superficie, o di contenuto espressivo. Queste opere inducevano lo spettatore a considerare la disposizione e la scala delle forme stesse e di come, spostandosi, la percezione mutasse.
In un saggio del 1966, “Note sulla Scultura”, Morris esponeva la base esperienziale di opere d’arte minimalista che richiedevano l’impiego di forme semplici, come poliedri, che potrebbero essere immediatamente percepite dallo spettatore. Inoltre, teorizzava le sculture minimaliste come dipendenti dal contesto e le condizioni in cui sono state percepite, in sostanza, rovesciando il concetto dell’opera d’arte come indipendente in sé e per sé.
Alla fine dello stesso decennio, Morris ha iniziato ad introdurre indeterminatezza e temporalità nel processo artistico. Tagliando, strappando, accatastando materiali di uso quotidiano come il feltro o stracci, Morris ha sottolineato la natura effimera dell’opera d’arte, che finirebbe per cambiare ogni volta che viene installata in un nuovo spazio.
Per tutta l’estate e oltre, quindi, negli ampi spazi del Mart sono proiettati le performance storiche e i più importanti film girati fra il 1963 e il 2005 si confrontano con sculture e installazioni sonore. Neo Classic, Mirror, Slow Motion o Birthday Boy – quest’ultimo dedicato ai 500 anni del David di Michelangelo – attraverso l’uso estremo di slow-motion, gesti stilizzati, alternanza fra sincroni e asincroni completano l’indagine sulle forme primarie, restituendo delle arti in movimento il dato più squisitamente fisico.