Alla PoliArt Contemporary di Rovereto, dal 10 giugno al 17 settembre, sono esposte le opere di Carlo Colli e Francesco Verdelli, nella doppia personale “Vultus et Vulnus”, a cura di Leonardo Conti e Sara Bastianini. Con circa trenta opere, tutte su carta, i due artisti, secondo declinazioni apparentemente inconciliabili, muovono le proprie ricerche in un continuo disequilibrio e riequilibrio tra improvvisazione e razionalità.
Esse appaiono in controtendenza rispetto alla presunta superiore nobiltà della tela, voluta da una convinzione culturale occidentale e i due artisti, Colli e Verdelli, fanno della ricerca con la carta un contrassegno stilistico, una scelta sostanziale e strategica.
L’artista siciliano Carlo Colli (Ribera – AG, 1968), propone le recenti opere del ciclo Skin, nelle quali la carta non è più neppure un supporto, ma emerge nella sua valenza oggettuale. Nello strapparsi, inteso come infrazione dei limiti di tenuta fisica, essa diviene uno strano bifronte, una sorta d’interno/esterno in grado di mostrare l’altro limite che sempre si pone tra l’intenzione dell’artista e l’opera finita. Il vulnus, la ferita inferta nella carta, appare proprio nel luogo in cui il gesto minuzioso della mano dell’artista, tentando il tracciato di un’immagine (una retta, due parallele, un cerchio … ), s’incontrano con la resistenza del materiale. Ecco la retta incurvarsi, le parallele divergere, il cerchio deformarsi, ecco l’imperfezione creativa in cui l’arte mostra la propria immagine pura, selvaggia, fenomenica, infinitamente vitale rispetto a ogni astrazione geometrica. In un’opera come Skin N89, di fronte all’apparizione del cerchio rosso su fondo nero, possiamo persino spingere la nostra sovra-interpretazione sino al riconoscimento di un volto (vultus) ritratto o autoritratto: l’artista vede se stesso, oppure è l’osservatore a specchiarsi nel proprio essere meravigliosamente imperfetto e indissolubilmente mescolato alle cose.
Francesco Verdelli (Prato, 1980) lavora anch’egli con la carta, alla quale dà modo di agire aspettandone le reazioni, come in una partita di logica, in una costante diatriba tra caso e controllo. Nel ciclo dei Nigredo alchemica, il colore liquido, vivido, si muove senza argini, libero, e l’artista lo asseconda o si perde, o tenta di guidarlo solo con lo spostamento della carta.
Poi, nel continuo sbilanciamento e riequilibrio, nel reciproco travaso d’istinto e razionalità, si coagula il ribollire del colore nell’affacciarsi di un’ovale, sul limite imprevedibile della tenuta assorbente della carta. Tutti gli ovali di Verdelli riconducono ai volti, o all’unico volto, dove l’artista si rarefa, smaterializzandosi in un’incessante ripetizione di forme astratte e fisiognomiche a un tempo. C’è una ferita dell’essere (vulnus) a monte delle opere di Verdelli, una perdita dell’identità e un gesto dionisiaco, ma nel colore che si fa forma, come da sé, c’è l’ovale che costantemente ritorna, il volto inedito dell’arte (vultus) nella denotazione di un’identità plurale.
L’apertura della mostra sarà introdotta da un intervento di Raffaele Tovazzi, esperto di PNL e fondatore della filosofia esecutiva.